Lippi: "Impressionato dagli juventini: ne chiamerò tanti"

A due anni dall'addio, mercoledì il ritorno da ct:
«Mi davano del pensionato? Ho rifiutato venti squadre».

19 agosto 2008. - Marcello Lippi, mercoledì a Nizza contro l’Austria è di nuovo al primo giorno di scuola: cos’è cambiato rispetto all’esordio di due anni fa?

«Molte cose, perché la situazione è del tutto diversa. Nel 2004 c’era una squadra da ricostruire, che era uscita male dall’Europeo. Stavolta ritrovo un gruppo che è campione del mondo, e non bisognerebbe dimenticarlo».

Non è che a Euro 2008 abbia fatto un figurone.

«Ma penso non sia una squadra da rivoluzionare, perché il nucleo è valido».

Magari un po’ vecchiotto.

«Guardate che le carte d’identità le so leggere anch’io, e le leggo. Come so pure che da qui al 2010 passeranno altri due anni. Però prima di escludere certi giocatori, ci penserei molto, davvero molto».

Qualche rinforzo servirà.

«Il progetto è quello di arrivare a innestare quattro-sei giocatori. E il primo serbatoio è questa Olimpica, che sta facendo bene: essendo però a Pechino, è ovvio che ora non potrò chiamarli. Saranno giocatori da innestare in una base che, lo ripeto, è ancora decisamente affidabile. Con il tempo, lo faremo».

Giovinco è uno degli indiziati?

«È un giocatore molto bravo, come Montolivo, Acquafresca, Motta e tutti gli altri ragazzi che stanno facendo molto bene con Casiraghi».

Balotelli è italiano da un paio di giorni: c’è anche lui nel paniere in cui pescare?

«Certo. Tutti i giocatori italiani fra i 18 e i 40 anni devono avere la voglia e l’ambizione di conquistare la maglia della Nazionale».

Vince chi ha più fame, noi ne avevamo più di tutti», disse dopo Berlino: la puoi avere anche dopo esserti mangiato la Coppa del Mondo?

«Oltre che bravi questi giocatori sono intelligenti e sanno bene tutto quello che hanno fatto per arrivare fino a lì».

Contano più la testa o i piedi?

«La testa».

Cosa le hanno insegnato i due anni in Nazionale?

«Nulla, perché il mio mestiere non l’ho fatto. Però mi hanno permesso di fare tante cose per le quali mai avevo avuto tempo: parlare con i giovani, con gli allenatori, andare alle conferenze delle università».

Non l’allenatore: che mestiere fa un ct?

«Molte più cose di un tecnico. Quando vai in giro o vedi le partite in tv per osservare i giocatori e chiamarli, fai il selezionatore; quando poi li hai nei raduni, li alleni. Più completo».

Dicono ci sia scarsità di difensori, nel Paese che li ha sempre fabbricati.

«Non penso proprio. I guai, semmai, ce li può avere Capello, che nel suo campionato si ritrova a scegliere fra il 38 per cento di giocatori, io qui ne ho il 68 per cento. E poi ci sono le Nazionali under 21, under 19, eccetera, che vanno molto bene».

Ha viaggiato bene anche la Juve.

«Mi ha fatto una buonissima impressione. Una squadra molto compatta, determinata, tanto. Che non vedeva l’ora di tornare in Champions League, il suo habitat naturale».

Non ha abbastanza qualità, uno dei capi d’imputazione, secondo alcuni.

«Il calcio è bello perché ci sono opinioni differenti. La Juve, tradizionalmente, è sempre stata una squadra compatta, determinata, ma ha sempre avuto anche giocatori di grande qualità. Come adesso».

Iaquinta da esterno, un ruolo battezzato da lei.

«Con me ha giocato fra i tre attaccanti, a sinistra o a destra. È un giocatore molto utile, uno che può fare tutti i ruoli, davanti».

C’è qualcosina da dire ancora su Del Piero?

«Non molto, direi. La Juve è Del Piero».

Anche la Nazionale?

«Non è la domanda che deve fare a me, che sono il ct. Domani ci saranno le convocazioni e vedrete».

Ci saranno juventini?

«Parecchi».

La sua griglia per la Champions?

«Barcellona, Manchester United e Real Madrid, poi tutte le italiane, per scaramanzia».

Quella per lo scudetto?

«Inter, Roma, Juventus, Milan e Fiorentina, tutte assieme».

Mai pentito di aver mollato tutto, nel 2006?

«Sì, come no. Avrei voluto restare su quella panchina».

S’è preso la rivincita?

«No, non c’era da prendersela contro nessuno. Sapete tutti le ragioni per le quali annunciai l’addio, prima del mondiale. E sono tornato su questa panchina solo perché l’Europeo è andato così».

In questi due anni le hanno dato del pensionato: arrabbiato?

«Macché, mi veniva da ridere».

S’è scritto pure che aspettava la Nazionale perché non aveva trovato alcuna squadra.

«Mi faceva sorridere lo stesso. In questi due anni ho rifiutato venti squadre».

 

(La Stampa.it)