Pessotto e la poesia del terzino gentile
"Il calcio? Vivere giocando"

Il difensore jolly, i suoi 20 anni tra le partite e i versi che amava scrivere
Pochi giorni fa aveva detto: puliamo questo sport, adesso o mai più
.

 

28 Giugno 2006.

NOI DEL PALLONE lo chiamiamo Pessottino, non perché sia piccolo (d'accordo, non è neanche un gigante) ma perché gli vogliamo bene. Tanto bene. E lo stimiamo, cosa non meno importante. Vent'anni di campi e stadi, se ne fa di strada insieme, ci sono quei momenti meno ufficiali, quando si aspetta un bagaglio all'aeroporto in piena notte e si sta mezzo seduti per terra, e magari si avrebbe voglia di essere altrove.

In quei momenti, Gianluca Pessotto inforca gli occhialetti e apre un libro. Ma poi lo chiude, ti saluta e si comincia a chiacchierare. Di tutto, non solo del rigore che forse non c'era. Di figli, di città. Una volta, persino di Dostoevskij. Cosa leggi, Pessottino? "Umiliati e offesi, c'è questo amore tra un nobile e una ragazza povera, lo sai, io sono romantico". Un giorno, in una bella intervista, Gianluca l'ha pure citato, il grande russo indagatore dell'anima: "Senza Dio, tutto è lecito. E io sono d'accordo. Senza cadere nel fanatismo religioso, credo che la fede ti dia sempre un freno morale".

Gianluca Pessotto ha trentasei anni, ed è magnifico poter coniugare questo verbo al presente, e per tanto tempo ancora. Gioca a calcio da venti, cominciò che ne aveva quattordici e se ne andò a vivere in collegio a Milano, stava nelle giovanili del Milan, il pallone non è mica solo soldi e tatuaggi, mondiali e veline, è anche la solitudine, il freddo, la nostalgia di tanti bambini che crescono così, con il loro sogno sotto il cuscino. Il sogno di una carriera normale che poi diventa grande, e piena di cose: Varese, Massese, Bologna, Hellas Verona, il Toro in serie A, stagione '94-'95, due derby vinti contro Lippi che infatti lo vuole alla Juve.

In bianconero, 243 presenze, sei scudetti e tutte le coppe, compresa la Champions League vinta nel '96 contro l'Ajax ai rigori. Uno lo segna proprio lui, non Del Piero, non Vialli ma Gianluca Pessotto da Latisana, provincia di Udine. Oppure quell'altra volta, agli Europei 2000, semifinale contro l'Olanda e di nuovo ai rigori. E' la partita del cucchiaio di Totti, ma un altro pallone lo fa rotolare in porta Pessotto che è un mediano, un maniscalco, un jolly difensivo, un "fluidificante", il ruolo che sembra uno sciroppo contro il catarro. E quante lotte, quanti palloni recuperati e passati ai più bravi, forse.

E' facile voler bene a Gianluca Pessotto, il giocatore famoso che si incontra a passeggio in centro, a Torino, con la moglie e le due bambine per mano, si chiamano Federica e Benedetta e sono bellissime. Oppure al parcheggio dell'Aci. L'ultima volta proprio lì sotto, prima di partire per la Germania. Lui, appena nominato "team manager" della Juve dopo avere smesso di giocare. Allora, Gianluca, lo ripuliamo 'sto pallone? "O adesso o mai più, ce la dobbiamo fare". Era contento, affilato come un'acciuga. E sempre quel sorriso, quella mano tesa.

Gli piace scrivere poesie. Una dice: "Affrontare un avversario/è come affrontare le difficoltà quotidiane/a volte ti supera/a volte riesci a bloccarlo/sapendo che non devi mai smettere di correre/Grazie calcio/per avermi insegnato a vivere giocando".

Giorni fa, all'oratorio San Luigi di Gavirate, Varese, invitato al convegno "Lo sport educa?" Gianluca aveva detto: "Non giriamoci intorno, oggi il calcio non è educativo, e neppure i media o la tv, dove vengono proposti troppi modelli di non valori. Insegnanti e genitori hanno il compito più difficile. E dopo il marcio, anche il nostro sport potrà ripartire". Un ragazzo perbene, un amico, uno che andava in discoteca a veder ballare gli altri ("Mai amato il fumo e il rumore, diciamo che facevo la guardia ai cappotti").

Un giocatore preso ad esempio da tutti. E' anche il cassiere ufficiale dello spogliatoio juventino: quello che raccoglie i soldi delle multe tra i compagni che arrivano in ritardo agli allenamenti: "Una faticaccia, qui hanno tutti il braccino corto".

Ha sofferto, Pessottino. Si sfasciò il ginocchio nell'amichevole prima dei mondiali 2002: li avrebbe vissuti da titolare. Invece, sette mesi di stop. E ha giocato persino quest'anno, l'ultimo, dieci presenze, sempre impeccabile anche nella malinconia dell'arrivederci, un giocatore intelligente, un uomo d'equilibrio tra i reparti e tra le persone, educato, rispettoso, e proprio di rispetto ha bisogno adesso il suo buio, di vicinanza e amore, non di pettegolezzi. E poi, mai visto uno così corretto, anzi sì: il suo nome era Scirea. Gli somigliava, Gaetano.

La cosa più bella accadde a Perugia, sei anni fa. La Juve sta perdendo lo scudetto, ultimi minuti, l'arbitro dà una rimessa a Pessotto ma lui dice che è un errore, e restituisce la palla all'avversario. Come si fa a non volerti bene?

 

Da: La Repubblica.it