"WTC",
la metamorfosi di Oliver Stone


Accoglienza controversa per il film dedicato all'11 settembre
che celebra il coraggio e l'eroismo di due agenti della polizia
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VENEZIA, 1 settembre 2006. - "Negli anni in cui l'America era prospera, si arricchiva, ho affrontato argomenti scomodi, come il Vietnam. Ma ora, in un periodo così cupo, desidero fare il contrario: mostrare che la serenità esiste. Accendere una candela, per illuminare questa grande oscurità. Insomma non voglio più dividere, ma unire: la politica divide, il cuore unisce". Parole che fanno notizia, perché a pronunciarle è un ex regista "contro" come Oliver Stone. Sbarcato al Lido per presentare l'opera della svolta, World Trade Center: storia di eroismo e solidarietà, tra le macerie dell'11 settembre.

Un film che ha spiazzato alcuni fan storici del regista, e che - con la sua celebrazione del coraggio e dell'ardore individuali - è piaciuto molto alla destra "neocon" statunitense. Qui a Venezia, invece, l'accoglienza è controversa: qualche applauso, ma anche sonori fischi. Alcuni di pessimo gusto, perché giunti quando sui titoli di coda scorrono le cifre delle vittime dei caduti delle Torri. Da qui la protesta di un'altra parte del pubblico.

Una dimostrazione del fatto che, anche quando vuole unire, Stone in realtà continua a dividere. O piace molto, o viene rifiutato: difficile trovare qualcuno che si collochi nel mezzo. Accade anche per World Trade Center, pellicola che - come ampiamente noto - racconta una storia vera, l'infernale 11 settembre di una coppia di agenti della polizia portuale, John McLoughlin e Will Jimeno. Chiamati a evacuare le Twin Towers, i due restano intrappolati nelle macerie del crollo. I compagni muoiono, loro, feriti, sopravvivono. E parlandosi a vicenda, rievocando anche l'amore delle rispettive mogli (interpretate da Maria Bello e Maggie Gyllenhaal), riescono a restare vivi. Finché un ex marine li individua e li fa salvare.

Una storia di coraggio, con accenti anche mistici: uno dei due protagonisti ha continue apparizioni di Cristo. Molto fedele ai fatti realmente accaduti, anche perché i due reali protagonisti hanno molto collaborato alla sceneggiatura. Tanto che, insieme al regista e a Maria Bello, McLoughlin e Jimeno sono oggi qui al Lido, con le rispettive consorti: per loro, in conferenza stampa, un applauso convinto. Perché il film può piacere o meno, ma la loro resta una vicenda straordinaria.

Poi, però, i riflettori sono tutti per Stone. Che glissa la domanda sul perché il suo film è tanto piaciuto alla destra americana. Ma che spiega con chiarezza il suo punto di vista: sulla pellicola, sul suo Paese. "Una storia convenzionale, la mia? Non credo proprio - diochiara - è assolutamente insolita. Io ho fatto tante opere sulla morte, ma credo di non esserci mai andato così vicino come qui. E la morte non ha proprio nulla di convenzionale. Credo insomma che questo sia un film intenso, potente, che crea emozioni e tocca il cuore. Abbiamo tutti bisogno l'uno dell'altro, di metterci in contatto. Specie in un periodo in cui il mondo è così buio. La politica divide la gente, il cuore la unisce".

Subito dopo, Stone difende anche uno degli aspetti più controversi del film: la figura - reale - dell'ex marine tutto d'un pezzo che salva i due protagonisti, avido di vendetta sugli autori degli attentati, e che poi - come leggiamo nei titoli di coda - andrà a combattere il nemico in Iraq. Un modo di sottolineare il legame tra 11 settembre e conflitto nel Golfo? "Credo semplicemente - spiega il regista - che se nei titoli non avessi scritto questa informazione sarei stato politicamente corretto, avrei alterato la verità. Per quel marine la rivincita dopo gli attacchi era importante, per questo è partito per Bagdad. L'America si è sentita oltraggiata, giustamente arrabbiata. Anche se io, personalmente, reputo sbagliato l'intervento in Iraq. Ma giusto quello in Afghanistan". Un distinguo che può suonare sorprendente, da parte dell'autore che con Platoon ha mostrato l'assurdità di qualsiasi guerra.

 

Da Repubblica.it