Premio Nobel per la letteratura
allo scrittore francese Le Clézio
Era al primo posto della lista dei favoriti da diversi giorni.

9 ottobre 2008. - Il Nobel della letteratura è andato al francese Jean-Marie Gustave Le Clézio, che era tra i favoritissimi. Lo scrittore, nato a Nizza nel 1940 e che ha cominciato a scrivere a 7 anni, ha ormai un repertorio di oltre 30 pubblicazioni (libri, fiabe, saggi e novelle) che lo hanno reso un autore di successo in tutto il mondo. Il primo «Il Verbale» a 23 anni. Tra i suoi libri tradotti in italiano «Il continente invisibile», «Diego e Frida», «L’africano».

 

Deluse anche quest’anno dunque le aspettative degli italiani (in cima alla lista c’erano Claudio Magris e Antonio Tabucchi). Poco noto in Italia, lo scrittore è stato premiato - si legge nella motivazione dell’Accademia - come «autore di nuove partenze, avventura poetica ed estasi sensoriale, pioniere di un’umanità oltre e sottostante la civiltà imperante». Viaggiatore instancabile, Le Clézio ha esplorato in una prima fase della sua produzione i temi della follia, del linguaggio, della scrittura; ma poi dalla fine degli anni ’70, la sua scrittura è divenuta più serena ed è passata ai temi dell’infanzia, della minoranza, del viaggio. Oltre alla gloria, a lui andranno i dieci milioni di corone svedesi, pari a circa un milione di euro con cui si accompagna il premio.

Per quanto non molto conosciuto dal grande pubblico Jean-Marie Le Clézio inizia a scrivere sin da ragazzino e da allora dice di non aver mai smesso di farlo, sino alla pubblicazione a 23 anni del primo romanzo, «Il verbale», con cui vince subito il premio Ranaudot. Nato da famiglia bretone a Nizza (ma con forti legami con l’isola Mauritius) il 13 aprile 1940, ha studiato al collegio universitario letterario di Nizza e, dopo la laurea, va a insegnare negli Usa. Nella sua carriera ha pubblicato una trentina di titoli di opere di ogni genere dai romanzi ai saggi, dai racconti a libri per ragazzi. Come scrittore nasce legandosi alla scia delle vena sperimentale francese, da Perce a Butor o Simon, indagando i temi della scrittura e dell’alienazione con interventi e invenzioni formali e tipografiche, ma alla fine degli anni ’70 comincia a scrivere in modo più piano e risolto, rivolgendosi all’autobiografia, al tema dell’infanzia come del viaggio (ha girato un po' tutto il mondo) e arrivando anche al successo di pubblico.

 

(La Stampa.it)