Twist, il ballo dei monelli
Nel romanzo londinese di Dickens il modello di tutti i bambini sfruttati.

17 agosto 2008. - L’estate è la stagione in cui si è più disposti a leggere o a rileggere i grandi libri. «La Stampa» ha chiesto alle sue firme di raccontare ai lettori i capolavori della letteratura mondiale.

Oliver Twist: ecco uno dei personaggi memorabili di tutta la narrativa mondiale. Lo inventa Charles Dickens in un romanzo che esce a puntate nel 1837-38 a Londra, rinnovando il successo travolgente del Circolo Pickwick (The Pickwick Papers) apparso l’anno prima. Dickens ha appena ventisei anni quando Oliver Twist ne consolida una fama che va ben oltre la sua Inghilterra. Chi è il protagonista? Un orfano di otto anni, nato e cresciuto in un ospizio parrocchiale di mendicità. Il cognome, che significa «torsione», «giravolta» (curiosamente, nel Novecento indicherà una popolare danza) gli è stato imposto dal crudele Bumble, sacrestano parrocchiale, sfogliando un dizionario, arrivato alla T. In attesa che gli venga imposto un lavoro, Oliver subisce la durezza dell’ospizio, e manifesta qualche modesta richiesta. Una di esse, che sostanzia un episodio divenuto emblematico, ci mostra Oliver, tuttora affamato dopo il solito miserabile pasto, il quale chiede: «Ne vorrei ancora, per favore, signore». Il signor Limbkins, «gentiluomo dal panciotto bianco» preposto all’ospizio, quando la richiesta di Oliver gli viene riferita esclama: «Quel ragazzo finirà impiccato. So che quel ragazzo finirà impiccato».

Dickens, radicale vicino al movimento sociale dei Cartisti, non esagera. Erano questi gli effetti della repressiva, spietata Legge dei Poveri. Dopo una breve, dura esperienza di apprendista, Oliver fugge, raggiunge Londra ma finisce nelle mani di una banda di ladri, al cui vertice si trova il vecchio ebreo Fagin. Ne fanno parte lo scassinatore Bill Sikes, la sua compagna Nancy, e uno sfrontato giovane borsaiolo, soprannominato «l’astuto bidonista». Dickens era un formidabile inventore di nomi. Dopo una breve fuga e la protezione del filantropo Brownlow, la banda rapisce Oliver, il quale rimarrà ferito durante un tentativo di scasso. Come si vede, con singolare maestria realistica Dickens offre un quadro di singolare pregnanza dell’ambiente malavitoso, tra l’altro sostenuto e finanziato nell’ombra da individui come, nel nostro caso, il sinistro signor Monks.

In un suo saggio su Oliver Twist, Graham Greene ha scritto che Dickens era un «manicheo», assai più convinto della realtà del male che di quella del bene. D’altronde, per stare a una celebre pagina di Chesterton, il pathos sentimentale di Oliver deriva dal fatto che egli non è mai pessimista: anzi è ottimista. Per questo egli si troverà premiato. Così, dopo il ferimento, fortunatamente troverà l’assistenza della generosa signora Maylie e della sua protetta Rose, che lo curano e lo seguono. Nel frattempo, Nancy, a suo modo pentita, rivela a Rose che Monks conosce l’ascendenza famigliare di Oliver e vuole che qualsiasi prova venga distrutta. Scatta un’inchiesta, ma la banda la scopre e Nancy viene brutalmente uccisa da Bill Sikes.

Il tempo passa: Monks, minacciato di inchiesta a suo carico, confessa ciò che era rimasto oscuro fino a quel momento. Egli è il fratellastro di Oliver, e ha cercato di procurarne la rovina per entrare da solo in possesso dell’eredità del padre. Rose è la sorella dell’infelice madre di Oliver. Oliver viene adottato, dopo l’acquisizione della sua reale identità, da un altro benefattore, il signor Brownlow, mentre Monks emigra e muore in prigione.

Dobbiamo, allora, parlare di lieto fine, l’espediente che Lukacs considerava risolutivo in tutto il romanzo borghese? Soltanto in apparenza. Certo, nell’Inghilterra dickensiana appare indispensabile che un ragazzo abbandonato trovi una dignità, un ruolo sociale. Sta qui la differenza rispetto a un personaggio chiave della letteratura americana, lo Huckberry Finn di Mark Twain, che si muove in una società nuova e aperta. Mark Twain, peraltro, dichiarò che Oliver Twist era stato il suo modello per Huck. Possiamo aggiungere, il modello per tutti i personaggi di ragazzi creati dopo il romanzo di Dickens.

C’è ancora dell’altro, e non di secondaria importanza: emerge nell’ultima parte di Oliver Twist. Viene celebrato il processo a Fagin, la cui figura ha innescato tutta una serie di dibattiti sul possibile antisemitismo di Dickens. Lo scrittore si difese in modo tanto semplice quanto convincente, spiegando che, nei quartieri poveri in cui egli era cresciuto, spesso il capobanda criminale era ebreo. Qui la figura acquista una complessa valenza. Infatti, il processo contro di lui si trasforma nella identificazione e, diciamolo pure, nella persecuzione del capro espiatorio designato. In altri termini Fagin diviene la vittima di una società del profitto, le cui pratiche apparentemente legali sono in effetti prevaricatorie, oppressive, totalmente prive di scrupoli. Emerge imperioso il radicale Dickens, in anticipo sullo stesso Marx, anche se contrario a scelte rivoluzionarie e persuaso dell’efficacia del riformismo. I cartisti e i sindacati che ne derivano sfoceranno nel laburismo, l’itinerario, tanto per far un caso, di George Bernard Shaw. Il processo a Fagin, con la folla urlante che ne chiede la morte, ci consegna un esemplare di grande letteratura tragica. Lo riprenderà, pensate, nel Novecento un «maledetto» come Jean Genet, implicitamente. E poi, nell’ultimo capitolo, ecco Fagin in un’atmosfera di morte imminente, che rifiuta di pentirsi, mentre Oliver rifiuta di manifestare odio. «Che Dio perdoni questo sciagurato», grida, «scoppiando in lacrime».

Qui Dickens rivela la incomparabile ricchezza della sua arte, dal quotidiano al simbolico, dal malinconico al passionale, scanditi tutti da una sbalorditiva creatività di linguaggio. Non dimentichiamo che Dickens fu un autore prediletto da Kafka, se ci accingiamo a rileggere, o a leggere, Oliver Twist.

 

(La Stampa.it)