Davvero bella.
Sempre di più

«... E mi sono fermata. Ma non posso dirle perché».
«Ha sepolto un cadavere?»

Sono cintura rossa di karate» sorrise lei.

«Io sono cintura nera di tae kwon do. Mi chiamo Emilio» dissi, porgendole la mano.

«Camilla» disse lei. Aveva una bella stretta.

«Ho superato il test? Posso avere l'onore di accompagnarla?».

«Mi dovrebbe anche aspettare, altrimenti non saprei come tornare a casa... Non è troppo disturbo?».

«Be', se preferisce posso lasciarla qua da sola».

«Ah, no».

«Allora non ci resta che cominciare l'avventura».

«Non guiderà come un pazzo?».

«I pazzi non possono fare altrimenti».

«Che Dio mi protegga» sorrise lei. Prese una borsa nera dalla Fiesta e montammo sulla mia macchina. Feci una partenza da autista.

«Come mai si è fermata proprio qui, in mezzo al nulla?».

«Come sa che mi sono fermata?». Era molto stupita.

«Con la batteria scarica si può viaggiare senza problemi, ma se ci si ferma non si riparte». Mi sentivo un poliziotto.

«E io purtroppo mi sono fermata... Ma non posso dirle come mai».

«Ha seppellito un cadavere?».

«Come ha fatto a capirlo?».

«Intuito maschile».

«Anzi glielo dico. Mi sono fermata perché mi scappava la pipì».

«Arrivo sempre troppo tardi».

«Non è che adesso mi chiede il punto preciso dove l'ho fatta?».

«Ero tentato...». Stavamo giocando, era un buon segno.

«Prenda la prossima a sinistra» disse la bella dottoressa, ancora con il sorriso sulle labbra. La sbirciavo di nascosto, sperando che non se ne accorgesse.

«Lei non è di queste parti» dissi, voltando a sinistra.

«Sono nata a Firenze, ma i miei genitori sono siciliani».

«Lo stavo per dire».

«E lei?».

«Anche io sono nato in quella città inospitale, ma ho un nonno sardo e una nonna veneta che forse mi hanno salvato il sangue».

«Nemmeno a me piace Firenze, è per questo che sono venuta a lavorare quassù».

«Ci abita da molto tempo?».

«Quasi due anni. E lei?».

«Dai primi di settembre. Ma sono qui per caso».

«Per caso?».

«È troppo lungo da spiegare...».

«Nella vita cosa fa?». Si voltò a guardarmi, come se volesse indovinare il mio mestiere dalla faccia. Mi arrivava nel naso un buon odore di capelli appena lavati e di cremine per il viso.

«Scrivo» dissi.

«Ah, scrittore... E cos'è che scrive?».

«Romanzi, racconti... cose così».

«Non avevo mai conosciuto uno scrittore».

«Non si è persa niente».

«Perché?».

«Sono tutti un po' coglioni» dissi, e lei rise. Mi piaceva farla ridere.

«Mi sono sempre chiesta come si fa a scrivere un romanzo».

«A dire il vero anch'io». Lei si voltò verso di me sorridendo, e per un attimo ci guardammo negli occhi. Era davvero bella. Sempre di più.

«Stiamo andando da un caso urgente?» dissi.

«Segreto professionale» sorrise lei. Dopo un paio di chilometri mi disse di voltare in una strada buia, piena di buche.

«Ora saltano fuori quattro suoi amichetti alti come armadi e dopo avermi accoltellato mi rubano la macchina» dissi, un po' scherzando e un po' no. Lei rise di nuovo. Aveva un bellissimo sorriso.

«Siamo arrivati». Mi indicò una grande casa colonica in pietra, a una cinquantina di metri dalla strada. Sopra la porta una lampadina brillava nel buio. Voltai nel viottolo di sassi e parcheggiai nell'aia. La cascina era a due piani, ma dal corpo principale partiva un edificio più basso formando una L. La lampadina sopra la porta illuminava una madonna dentro una nicchia.

«L'aspetto qui?».

«Venga pure dentro» disse lei. Appena scendemmo dalla macchina si aprì la porta. Apparve una signora anziana. Si appoggiava a un bastone da passeggio, ma non sembrava averne bisogno. Aveva il viso duro, da cane mastino, ma il suo sguardo brillava come quello di una bambina. Una vecchia piena di energia. Salutò la dottoressa e mi lanciò una lunga occhiata. Camilla si affrettò a spiegare.

«Sono rimasta ferma con la macchina, e questo signore mi ha dato un passaggio».

La vecchia si voltò senza una parola e rientrò in casa con un'agilità sorprendente. Il bastone doveva essere un vezzo. La seguimmo lungo un corridoio semibuio, e arrivammo in una stanza piuttosto grande arredata come il salone di una villa. Ritratti appesi alle pareti, mobili antichi, divani, tappeti e un caminetto in marmo scolpito. Gli alari in ferro battuto rappresentavano due elmi rinascimentali. La vecchia guardò Camilla, e lei si voltò verso di me.

«Le dispiace aspettare qui?».

«Faccia con comodo».

Le due donne se ne andarono chiudendosi dietro la porta, e rimasi da solo. Mi sentivo strano. Ero uscito di casa per fare un giro in macchina, e invece... Guarda un po' il destino. Mi aspettavo una contadinella e mi era capitata una dottoressa.

(Continua)

 

(La Stampa.it)