Casinò, perde Las Vegas
è Macao la capitale del gioco

L'ex colonia portoghese in Cina supera per la prima volta il giro d'affari della città americana di oltre 20 milioni di dollari.

26 ottobre 2006. - Chi ha puntato su Macao, uno dei lati del triangolo cinese che collega Canton a Hong Kong, ha vinto. L'ex colonia portoghese, a sud della Cina, grazie ai mega-investimenti americani in alberghi e casinò, è diventata in poco tempo la capitale mondiale del gioco d'azzardo, superando Las Vegas. Lo rivelano le stime della società di consulenza 'Globalysis', sede nel Nevada, secondo le quali il fatturato di Las Vegas si aggirerà a fine anno intorno ai 6,6 miliardi di dollari e sarà superato di circa 20 milioni di dollari dalle entrate complessive di Macao, la penisola che nel 1999, dopo 442 anni di dominio portoghese, è diventata una regione autonoma cinese.

Da sempre Macao è considerata la capitale asiatica del gioco d'azzardo ma, grazie a Pechino e al boom del 'made' in Cina, ha saputo realizzare il salto di qualità, nel nome della globalizzazione. La svolta nel 2001, quando le autorità cinesi, fiutando l'affare, decisero di togliere il monopolio del gioco a Stanley Ho, il tycoon locale che lo deteneva da 40 anni, concedendo così agli investitori esteri permessi e licenze per costruire mastodontici casinò, stile Las Vagas. Il risultato? Una pioggia di soldi, oltre 25 miliardi di investimenti provenienti soprattutto dagli Usa, e una marea di turisti-giocatori, da tutta la Cina (18 milioni solo nel 2005), che hanno messo il turbo alla sonnolenta economia di Macao.

Qui si beve tè e si impazzisce per il baccarat (meno per le slot machines come a Las Vegas). E poi i cinesi restano seduti fin quando non hanno speso fino all'ultimo gettone, ignorando quasi del tutto gli spettacoli di varietà infarciti di pailettes che pure sono stati esportati qui dall'America. Senza considerare che nelle sale 'Vip', la puntata minima è di 1.500 euro, e il gioco è talmente serio che l'atmosfera diventa quasi truce.

A fare da apripista è stato Sheldon Adelson, l'undicesimo uomo più ricco d'America accreditato di un patrimonio di oltre 10 miliardi di dollari, che ha a Las Vegas il cuore del suo impero e che fu il primo ad intuire, battendo sul tempo il rivale Steve Wynn, che Macao poteva diventare la 'Las Vegas dell'Asia'.

Adelson ha cominciato con il 'Sands Macao', un casinò costato 240 milioni di dollari, che in sei mesi gli ha già consentito di recuperare i soldi spesi. Poi la scelta dio fare le cose in grande, con un progetto da 10 miliardi di dollari, che prevede la costruzione di 20 grandi alberghi-casinò di 3 mila stanze l'uno su una fascia di terra di 60 ettari tirata fuori dall'acqua e ribattezzata 'Striscia di Cotai', che riprodurrà Venezia.

Eppure, nonostante i suoi successi, a 72 anni il miliardario americano, figlio di un tassista immigrato dalla Lituania e di un'operaia tessile ucraina, soffre ancora di una sorta di "complesso dell'outsider ": per tutta la vita si è sentito sbeffeggiato dai suoi avversari (molti dei quali hanno poi finito col seguirne le orme). "Ogni volta che sono entrato in un nuovo settore, sono stato ridicolizzato,è stato così per tutta la mia vita" ha raccontato recentemente alla rivista "Forbes". Un complesso che affonda le sue radici nell'infanzia difficile a Dorchester, in Massachusetts, dove "tutti i ragazzi irlandesi di South Boston erano abituati i picchiare noi ragazzi ebrei".

Ma Adelson ha saputo trasformare le ombre della sua memoria in una straordinaria miniera d'oro. Il "developer" è uno che ringhia e morde. Preferibilmente puntando ai i polpacci di Steve Wynn, l'altro "re di Las Vegas". Wynn è molto meno ricco di Adelson (circa due miliardi di dollari di patrimonio personale). Eppure tra i due contendenti è sempre Wynn a godere della migliore stampa. Dicono perchè è alto, fotogenico e ha molto più "charme" del suo avversario. Adelson sospetta addirittura di essere discriminato perché non ha una laurea, a differenza di Wynn, che ha frequentato la University of Pennsylvania.

Nonostante tutta questa ostilità, anni fa Adelson propose a Wynn di andare insieme alla conquista della Cina. La risposta, racconta, fu secca, inequivocabile: "Questa è l'idea più stupida che abbia mai sentito". Naturalmente Wynn nega che le cose siano andate in questo modo e spiega che Adelson non riesce ad essere sereno perché ha sofferto per tutta la sua vita di complessi d'inferiorità.

Ma l'avventura che ha ringiovanito Adelson, a dispetto di una grave infiammazione dei nervi che lo costringe da quasi quattro anni a girare con le stampelle o su una sedia a rotelle, è stata proprio la "conquista della Cina" con Macao quando il governo di Pechino decise di non chiudere i casinò, ma di rompere il monopolio vecchio di 42 anni del superboss Stanley Ho e di ripulire la città dalla criminalità mafiosa. Da qui l'apertura ad altri gruppi stranieri a caccia di concessioni per le nuove case da gioco.

Anche Wynn ha vinto una licenza, ma ha differenza del 'nemico' ha preferito attendere prima di sfruttarla temendo che l'investimento non fosse redditizio. Un calcolo naturalmente sbagliato e per il quale forse non erano neppure necessarie particolari indagini di mercato. Bastava rifarsi all'assunto secondo cui i cinesi sono "scommettitori nati". E lo dimostrano le cifre: nonostante i redditi dei cinesi siano molto più bassi di quelli degli americani, l'anno scorso Macao ha raggiunto e superato Las Vegas in termini di incassi da gioco d'azzardo (5,4 miliardi di dollari contro 5,3).

E come se non bastasse in questi anni ha contato anche la mobilità dei giocatori, soprattutto quelli provenienti da Hong Kong o dal Guangdong (provincia industriale con 100 milioni di abitanti, a nord dell'ex colonia portoghese), in genere vanno e vengono in giornata.

Adelson continua a fare la spola tra le due sponde del Pacifico sul suo Boeing 767 e non si cura delle critiche: è sicuro di aver fatto un grande affare (anche perché le catene alberghiere coinvolte faranno gestire a lui i loro nuovi casinò) e si sente ringiovanito proprio perché ha affrontato, quando è ormai in età avanzata, la sfida più grossa e affascinante della sua vita. Non una favola ma un altro capitolo (stavolta strambo) della globalizzazione.. Salvo che in quella terra giocarenon è considerato un peccato, ma una sfida al proprio destino.

La Deutsche Bank, in un recente rapporto, aveva stabilito che il giro di affari di Macao sarebbe stato superiore a quello di Las Vegas. Previsione naturalmente rispettata.

 

Da Repubblica.it