Avant Pop, le canzoni del '68
Nuovi libri e cd in uscita aiutano a rimettere i ricordi di quella stagione
nella giusta prospettiva. Una chitarra per "strofe incendiarie": "Contessa", "Che"...

Fausto Leali, Mino Reitano, Marisa Sannia e i Camaleonti.30 aprile 2008. -   Prima di dire che il Sessantotto è stato un'esplosione di libertà e creatività, di immaginazione e fantasia, di questo e di quello, e che la società a quel tempo si diede una mossa, e che nacquero fermenti e si svilupparono tendenze, bisogna fare mente locale e controllare a puntino i documenti. Tecnica di San Tommaso, metterci il dito. Quindi si può prendere con una certa fiducia il libro di Riccardo Bertoncelli e Franco Zanetti, Avant Pop '68, titolo difficile da pronunciare davanti a qualsiasi libraio, che sta per uscire in questi giorni per la Rizzoli Bur, con il sottotitolo fortunatamente più evocativo che recita Canzoni indimenticabili di un anno che non è mai finito.

La fiducia deriva dal fatto che la coppia di autori composta da Bertoncelli e Zanetti è un marchio di fabbrica eccellente: basta non lasciarsi fuorviare dal vecchio ricordo di Bertoncelli motteggiato ai tempi dei tempi da Francesco Guccini (per ritorsione dopo una recensione ispida) in una delle strofe dell'Avvelenata ("tanto ci sarà sempre, lo sapete, un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli, un prete, a sparare cazzate"), e considerarne soltanto la lunga carriera di critico, collezionista e musicofilo; e poi avere presente per benino la vicenda di agitprop culturale di Zanetti, animatore della rivista online Rockol (www. rockol. it), ma soprattutto inventore di iniziative pazzesche come le canzoni di Battisti-Panella eseguite in una bellissima forma oratoriale, e come il concerto battistiano per le 172 bande che in tutta Italia eseguirono contemporaneamente La canzone del sole, a sette anni giusti dalla scomparsa del "maestro solitario".

È sufficiente quindi aprire il libro di Bertoncelli e Zanetti per accorgersi che per parlare decorosamente delle canzoni del Sessantotto, e magari degli "anni Sessantotto" (come cita Anna Bravo nel suo recentissimo e serissimo saggio laterziano sulla cultura dell'anno fatale, A colpi di cuore), occorre in primo luogo spogliarsi dei pregiudizi e di un'intera fila di luoghi comuni. Almeno per quanto riguarda le canzoni popolari, infatti, il Sessantotto ci ha messo molto tempo a ingranare. Se si scorrono le classifiche della hit parade di allora, si deve prendere nota di un elenco che comincia con Affida una lacrima al vento di Salvatore Adamo, il languoroso italo-belga emigrato nel 1947 da Comiso di Ragusa, e di cui si favoleggiò a lungo sui rotocalchi un flirt presunto con Paola Ruffo di Calabria, alias Paola di Liegi, cioè la bionda e affascinante cognata di Baldovino e attuale regina. Lui le dedicò una canzone, Dolce Paola, in cui dopo qualche apprezzamento alla sua dimensione regale ("mi offrì il suo sguardo... nella sua maestà"), le rivolgeva apprezzamenti dal lato ornitologico (rivelando che in lei "ho visto in verità una colomba fragile"). Vola colomba, insomma, parole d'antan. E difatti il Sessantotto ci mette un po' a farsi sentire. Le top ten sono tutto un tripudio di Fausto Leali, con il dramma da zio Tom di Angeli negri, "Pittore, ti voglio parlare, mentre dipingi un altare", e giù a scendere con i Camaleonti, Mino Reitano che aveva un cuore che ti amava tanto, Adriano Celentano, Don Backy che aveva litigato con Celentano, Marisa Sannia, Gianni Morandi, Maurizio ex New Dada (quello di Cinque minuti e poi, con l'aereo che si porta via per sempre la ragazza e lui quasi piange, praticamente singhiozza, esulcerato com'è per la perdita della morosa, e piange comunque molto meglio e con più credibilità che non nella tarda versione di Claudio Baglioni).

E poi Sylvie Vartan, Dalida, Dino, Franco IV e Franco I che scrivevano "t'amo sulla sabbia", Giuliano e i Notturni, la bambola di Patty Pravo, l'angelo blu dell'Equipe 84, "che se fischio torna giù", e tutti gli altri, famosi e dimenticati, italiani e stranieri, i Pooh di Piccola Katy (che pure risale alla fine dell'anno precedente) e gli Iron Butterfly dell'irripetibile In-A-Gadda-Da-Vida. Fino a Vengo anch'io, di Enzo Jannacci, che forse contende ad Azzurro il titolo di inno nazionale del Sessantotto all'italiana.

Il merito di Bertoncelli e Zanetti è di avere preferito la documentazione, anche quando è un pochino paranoica, alla teoria astratta. Bertoncelli si è occupato della natura più o meno politica della musica di allora: e allora è il caso di aggiungere che al volume è allegato un cd che documenta "l'"altra" canzone di quel periodo, quella dei circoli operai, delle sezioni, delle prime manifestazioni, quella diffusa principalmente per via orale con rari sbocchi e riscontri discografici" (il disco, prodotto da Ala Bianca di Toni Verona, comprende fra gli altri brani di Giovanna Marini, Sergio Liberovici, Fausto Amodei, tratti dal repertorio dei Dischi del Sole, un giacimento culturale depositato nell'archivio sonoro dell'Istituto Ernesto De Martino).

Ma sarebbe un fraintendimento limitare la musica del Sessantotto a quell'insieme di canzoni o inni che vanno da Contessa di Paolo Pietrangeli a Hasta siempre! (Comandante Che Guevara) di Carlos Puebla. E difatti per riequilibrare l'operazione c'è la minuziosa ricostruzione di Zanetti, tutta dedicata alla più spudorata canzone commerciale, e soprattutto una formidabile enciclopedia di 68 canzoni più una: quest'ultima, vedi caso, è Quarantaquattro gatti, inno nazionale degli infanti d'Italia, "l'unica vera canzone di protesta del 1968 che abbia avuto davvero un successo duraturo", con il suo resoconto di un'assemblea di rivendicazione di "diritti felini". Per la cronaca, la canzone, scritta dal musicista modenese Pippo Casarini, venne presentata allo Zecchino d'oro dalla udinese-goriziana Barbara Ferigo, quattro anni e mezzo, e superò altre canzoni epocali, Il torero Camomillo e Il valzer del moscerino, eseguita dalla precocissima star Cristina D'Avena (come si vede erano tempi in cui la musica per bambini non scherzava, se è vero che pochi mesi dopo fu addirittura Mina a interpretare Quarantaquattro gatti in un duetto con il pupazzo Provolino). Ecco, se si vuole sapere come sono nate quelle canzoni che fanno parte di un frammento mitologizzato di storia patria, vale la pena di leggere, golosamente, tutte le curiosità citate in questo sublime repertorio. Maniacali annotazioni, frutto di archivi fantastici, che raccontano tutte le cover, i titoli, le versioni, le date, i precedenti, e segnalano tutte le curiosità, sottolineano tutto ciò che si sa e si credeva di sapere sui Rokes, su Jimmy Fontana, su De Andrè, sui Moody Blues, ma sempre aggiungendo con insolenza filologica un particolare sconosciuto, un indizio in più, un elemento che era sfuggito finora. Si possono così trovare "voci" deliranti come la seguente, ripresa da documenti d'epoca (l'Enciclopedia dei cantanti e delle canzoni di Tullio Barbato, De Vecchi Editore, 1969): "Capellone barbuto dell'ultima leva, che ha da poco abbracciato l'attività di cantante in senso professionale, ottenendo buoni risultati con vari complessi e incidendo il suo primo disco con la Jolly. Pieno di belle speranze, è convinto di percorrere molta strada con i suoi stivaletti. Dicono che lo meriterebbe. Il suo genere è il folk". Per chi non l'avesse riconosciuto, si parla di Franco Battiato, segnalato anche come esecutore della versione italiana di Rain and Tears degli Aphrodites Child. Che dire? In effetti se n'è fatta di strada, dal Sessantotto a La cura, stivaletti o no.

 

(La Repubblica.it)