4 settembre 2009. - L’Arena di Verona è alle spalle. Il concerto con la All Stars Orchestra, 87 elementi che arrivano dalle filarmoniche di mezzo mondo, è stato un trionfo: 10 mila persone, standing ovation, bis che si sono allungati ben oltre il previsto.
Sono passati due giorni, ma Giovanni Allevi, 40 anni e due diplomi al Conservatorio, non riesce a dimenticare. «Sono in stato semiconfusionale: troppa emozione, non dormo, mi sveglio la notte e penso ancora alle prove», confessa il pianista e compositore. E poi ride: «Pochi mesi fa però mi è anche capitato di trovare una sala semideserta a un incontro pubblico a Losanna».
A novembre uscirà il cd-dvd della serata con la All Stars
Orchestra. A quando invece il prossimo album con delle
composizioni inedite?
«Continuo a scrivere musica indipendentemente dai tempi
discografici. Il prossimo lavoro è già tutto nella mia mente,
devo fare la partitura scritta e poi trovare il momento adatto
per registrare. Sarà un disco di pianoforte solo che farà tesoro
dell’esplosione formale di "Evolution"».
Facciamo un salto indietro. Ripercorriamo la sua carriera
discografica che sarà in vendita col Corriere da oggi (9.90 euro
più il prezzo del quotidiano ogni uscita). Come descriverebbe
oggi «13 dita», il suo debutto che risale al 1997?
«È il disco dell’ebbrezza e dell’incoscienza. Il mio lavoro più
estroverso. Si sente un giovane che si butta e scalpita. Ed è
fortemente virtuosistico».
Passano sei anni ed è la volta di «Composizioni».
«Il più contorto. Un Allevi completamente ripiegato su se stesso
che esplora il proprio linguaggio compositivo più sperimentale.
C’è anche una punta di malinconia».
Dopo aver lasciato Soleluna, l’etichetta di Jovanotti col quale
ha anche suonato dal vivo, se ne va a New York e scrive «No
Concept». È il 2005 e inizia la sua scalata alla popolarità.
«Lo definirei uno sguardo luminoso verso il mondo. L’ho composto
in attesa del mio debutto nella Grande Mela. Qui inizio a
mettere a fuoco la mia idea di musica classica contemporanea che
prima era soltanto un embrione».
Inizia a girare il mondo con i suoi concerti e nel 2006 pubblica
«Joy».
«Che scombina tutto. Nasce da un attacco di panico che ho avuto
al ritorno da un tour in Cina. È il mio inno alla gioia, alla
vita».
«Evolution», uscito l’anno scorso, segna il passaggio dal piano
solo all’orchestra.
«Dopo "Joy" era inevitabile un trasbordo verso forme più estese».
Il suo sogno musicale?
«Non mi interessa il successo, ma la composizione musicale. Il
sogno potrebbe essere una sinfonia o un concerto per pianoforte
e orchestra. E per l’attività concertistica magari la Scala...».
Lei ha definito lo spettacolo dell’Arena come una Woodstock
contemporanea.
«L’idea mi è venuta pensando ai fan. Chi si avvicina alla mia
musica è promotore di unmodo nuovo di rapportarsi alle cose e
all’altro, di un taglio col passato, di una nuova sensibilità
poetica. Questo fu anche Woodstock ».
Allevi è un personaggio che divide. Da un lato i fan che adorano la sua musica (e il suo personaggio stralunato e quasi fiabesco) e hanno portato i suoi dischi dove nessun pianista era mai arrivato. Dall’altro, il mondo della classica che si rifiuta di considerarlo un collega. Valgano su tutte le dure parole del violinista Uto Ughi che definito «musicalmente risibili» le composizioni alleviane.
Come vive le polemiche?
«Non mi importa. Le stesse parole vennero rivolte a Puccini,
Mozart, Bernstein e a tutti quelli che hanno innovato senza
passare attraverso i "sacerdoti"».
Avrà una risposta per chi la attacca...
«Porto avanti con tutta la mia passione un’idea di nuova musica
classica contemporanea. Per affermarla ci vorrà tempo e ci
vorranno altri artisti perché non si può fermare tutto alla mia
persona. Poggia però sui capisaldi musicali di Mozart, che resta
il mio ideale compositivo: immediatezza della melodia che deve
essere riconoscibile da tutti, positività del sentire, rigore
della scrittura».
La classica può essere contemporanea?
«Nietzsche considera la classicità non una categoria storica, ma
una categoria dell’esistenza. È lui a dire che una classicità ci
sarà sempre e non è quindi riferibile a un particolare periodo
storico».
Lei non ha un pianoforte in casa. Come fa?
«Per 25 anni l’ho studiato ogni giorno per ore ed ore. Adesso
non ne posseggo uno. Da compositore la musica arriva già pronta
nella mia testa. Come pianista quando ne sento il bisogno ho la
fortuna di poter andare al Laboratorio Griffa di Milano dove si
trova un Bösendorfer Imperial. Ce ne sono 9 esemplari in Europa
e quello è l’unico in Italia. Sergio Griffa, un preparatore
filosofo, lo mette a punto per le mie esigenze e per le
caratteristiche della mia musica, come una Ferrari di Formula 1.
Vado controcorrente: cerco un suono dolce, mentre i giovani
pianisti oggi ne preferiscono uno freddo».
Il fascino dello strumento?
«Lo riassumo così. Mi ha scritto un ragazzo che frequenta
l’ultimo anno di liceo. Mi ha detto che qualche anno fa era
emarginato perché suonava il pianoforte. E che ora è diventato
figo per lo stesso motivo».
(Andrea Laffranchi - corriere.it)