Gli 007 ai tempi
degli antichi romani

I servizi segreti sono sempre esistiti.
Di Claudio Bosio.

Nomen mihi est Nexus: Iacomus Nexus
Il mio nome è Bond: James Bond
.

Jan Fleming: 007, Licenza di uccidere.

 

10 aprile 2010. - I “Servizi Segreti" sono sempre esistiti. Da tempo immemoriale hanno rappresentato il tentativo di razionalizzare la più irrazionale delle attività dei popoli: la guerra.

I soli che risulta non li abbiano mai usati, sono stati i Mongoli. Non ne avevano bisogno. Nelle loro guerre facevano uso, con otto secoli di anticipo, della tecnica … siculo-corleonese. Bastava che le loro avanguardie apparissero al limitare di un certo territorio, e la gente del luogo, ben conscia della sorte che sarebbe loro spettata in caso di resistenza, si affrettava ad alzare bandiera bianca e, quindi, per garantirsi un’alta protezione, per altro non offerta, a tirar fuori un bel pò di denaro.

In realtà, i Mongoli, nei loro continui spostamenti verso Ovest, acquisivano indirettamente una serie di notizie che gli stessi popoli stanziali non possedevano e, in particolare, conoscevano benissimo chi avevano di fronte nelle battaglie e quale fosse la natura dei territori che stavano per attraversare.

Credere che l’orda mongola fosse una massa eterogenea di ululanti ed esaltati cavalieri, priva di qualsiasi ordine e gerarchia, è stato un errore fatale per un cospicuo numero di eserciti. Anche i Romani, a quanto ci consta, si servirono dei "Servizi Segreti". Ma poco e male. Le legioni romane riuscirono ad ottenere un’impressionante serie di vittorie mediante l’uso della pura forza. L’esercito di Roma arrivava dappertutto, magari non troppo speditamente, ma inesorabilmente. In effetti, la marcia dei legionari poteva sembrare lenta.

Il motto latino "festina lente" (affrettati lentamente) ben si applica allo spostamento dei legionari, non fosse altro che a causa dell’attività prioritaria degli ingegneri, che si dannavano l’anima per costruire strade e ponti, dove non c’era … un bel nulla e dove si era deciso di far passare i soldati, con tutti i loro annessi e connessi. Solo in alcuni casi i militi incedevano a "marce forzate", ossia expeditis pedibus, come diceva Cesare. Comunque, nei primi secoli della Repubblica nessuno pensava, almeno pubblicamente, che servizi d’informazione (leggi "spionaggio") potessero risultare molto utili. Caparbi e incaponiti com’erano nel loro modo di condurre la guerra, i Romani impararono la lezione molto tardi, solo quando furono vicinissimi alla catastrofe e cioè quando si trovarono ad affrontare il più grande tattico che, fino allora, si fosse mai visto sul campo: Annibale, il cartaginese[1], un uomo che per 15 anni riuscì a tenere il campo in una terra a lui ostile e contro imponenti forze guidate da abili generali. Già prima di venire in Italia Annibale aveva messo in piedi un efficiente sistema di spionaggio, tale da permettergli di sapere (e di sapere in anticipo) una quantità di cose sull’esercito romano. Proprio grazie a queste informazioni, ad esempio, egli seppe sfruttare al meglio il dissidio tra i due consoli Quinto Fabio Massimo, noto come il "Cunctator", il Temporeggiatore, (nonché come il "Verrucosus", per una "verruca in labris sita") e Marco Minucio Rufo, riuscendo a metterli uno contro l’altro.

L’uso sistematico della "soffiata" come arma primaria nelle attività belliche, imponeva, comunque, ad Annibale un controllo accurato e anche spietato dei … soffiatori. Quando le guide-spie di Annibale, avendo frainteso i suoi ordini, lo portarono sulla Casilina invece che a Cassino, il cartaginese, considerandoli traditori, li fece crocifiggere senza pietà. Si può dire che solo con l’avvento di un militare della personalità di Giulio Cesare, Roma si dotò di un’organizzazione informativa all’altezza delle sue ambizioni.

L’efficienza e la velocità erano due tra le più apprezzate caratteristiche di Cesare. A tal fine, nella preparazione delle battaglie nella Gallia, un’enorme importanza era data alla conoscenza dell’entità e dislocamento del nemico, e alla ricognizione del terreno, perché Cesare voleva sempre partire da una posizione vantaggiosa: non era solo una posizione attiva favorevole, ma un’iniezione di fiducia nei soldati che sarebbero andati a combattere con la certezza di vincere. Il lavoro di ricognizione era svolto dagli "esploratores", militari selezionati, dalle orecchie attente e dalla spada pronta, che conferivano direttamente con il Capo Supremo, così come facevano gli "speculatores", un reparto di messaggeri, che in realtà espletavano compiti di spionaggio vero e proprio e di interventi da "servizio d’azione", tipo la Suretè francese. Dividere gli alleati dei nemici, spargere false voci e informazioni sbagliate, corrompere i funzionari nemici, suscitare rivalità interne.

Per vincere ogni tipo di guerra senza combattere, per combattere sapendo già di poter vincere: ecco lo scopo e l’attività principale di ogni servizio informativo, cioè delle spie, o, meglio degli 007 dell’epoca. Come già accennato, i Romani, per quanto ritenessero tali servizi di non trascurabile importanza ai fini della loro politica espansionistica e belligerante, non se servirono sempre adeguatamente. Molte delle grandi sconfitte in cui incorsero, sono da attribuire proprio al loro sistema di spionaggio, scombinato e inadeguato, come, ad esempio, in occasione della battaglia della Foresta di Teutoburgo (9 d.C.) in cui furono annientate 3 intere legioni, guidate da Publio Quintilio Varo, oltre a 6 coorti di fanteria e 3 ali di cavalleria ausiliaria, per opera di Arminio, capo della tribù germanica dei Chetusci. Varo stava trasferendo le sue legioni negli accampamenti invernali[2] quando venne a sapere, da fonti locali, che era necessario domare prima una rivolta di una piccola tribù di Germani. La notizia era naturalmente falsa, ma Varo non si peritò di comprovarne la fondatezza, né aveva, più di tanto, dato retta alle informazioni dei suoi 007 circa la crescente ostilità dei Germani verso l'invasore romano: decise di cambiare itinerario, inoltrandosi con le legioni nella foresta di Teutoburgo, dove però lo aspettavano, a migliaia, i Cherusci di Arminio, pronti alla battaglia.

I Romani, presi alla sprovvista, non riuscirono a reagire, anche per la scarsa manovrabilità delle legioni nella foresta, "fitta e oscura". Fu una delle più gravi disfatte subite dai Romani. secondo svetonio (Vite dei dodici Cesari,un’opera del II secolo d.C.) Augusto, nell’apprendere la notizia, gridò, sconfortato: "Varo rendimi le mie legioni!".

In realtà, Varo, già governatore della Siria, non era un militare: fu, però, proprio una decisione di Augusto quella di affidare il governo della regione ad un burocrate piuttosto che ad un generale, ritenendo che, se non si fosse ricorso all’apparato militare, la romanizzazione dei Germani sarebbe stata più facilmente attuabile. sappiamo, comunque, che agenti segreti erano al servizio dei Romani almeno dall'epoca dell'ultimo re, Tarquinio il Superbo (551-474 a.C.), quando organizzò un complotto per impossessarsi della città di Gabii, dopo averne fatto uccidere i personaggi di maggior risalto, grazie ad un reparto speciale di spie. Con tutto ciò, pur fruendo di spioni e di informatori, i Romani non riuscirono a prevenire l'invasione dei Galli di Brenno nel 390 a.C.

In tempo di guerra, gli 007 fungevano anche da "corrieri imperiali", cioè erano responsabili dell’inoltro e dello scambio di messaggi da e per l’Imperatore, evitando l’intercettazione degli stessi da parte del nemico. Ci è noto, a questo proposito, come Giulio Cesare (100–44 a.C.) durante la Guerra Gallica (58–52 a.C.), nella redazione dei suoi messaggi, impiegasse diversi sistemi di crittografia. Un metodo, semplice ma efficace, consisteva nella "traslitterazione": ogni lettera dell’alfabeto era sostituita da un'altra, ben definita. Un altro sistema era quello dei "porta-ordini rasati".

A questi messaggeri venivano rasati i capelli a zero, quindi veniva scritto (magari in codice) il messaggio segreto sulla pelle del cranio. Si aspettava il tempo necessario che i capelli ricrescessero, e quindi i messaggeri potevano partire per la loro missione. Ovvio che, una volta giunti a destinazione, gli 007 in questione dovevano rasarsi il capo e farselo … leggere dal destinatario. [Questo tipo di comunicazione segreta, basata sull’occultamento del messaggio, è nota come "steganografia", dalle parole greche sthgan(s, steganòs (=coperto) e gr&jein,  gràphein (=scrivere)].

I Romani usavano anche un altro metodo di corrispondenza segreta, cioè la "cifratura per sostituzione", che consiste nell’accoppiare in maniera casuale le lettere di due diversi alfabeti e nel sostituire ciascuna lettera del testo con quella a lei accoppiata. Il primo esempio documentato di impiego militare di cifratura per sostituzione, si trova nel De bello gallico di Cesare, un messaggio inviato a Cicerone e redatto in caratteri greci al posto di quelli latini. Cesare ricorreva così spesso alla scrittura in codice, che Marco Valerio Probo (un filologo del I sec. d.C.) dedicò ai suoi cifrari un intero trattato. Quanto allo spionaggio vero e proprio, i Romani se ne avvalevano prevalentemente in tempo di pace. Non così in guerra. All'inizio, si trattava di semplici dilettanti, che, comunque, erano in grado di assumere informazioni presso gli stati stranieri: mercanti e diplomatici, soprattutto.

Durante le campagne, grande rilievo avevano gli speculatores e gli exploratores, che dovevano fornire al comandante quante più informazioni possibile sulla posizione e la consistenza del nemico. Erano detti "gli occhi e gli orecchi del Capo". Lavoravano in piccoli gruppi. a coppie, addirittura da soli, muovendosi spesso al buio. Gli speculatores risultavano utili anche nella vita civile: riscuotevano tasse e debiti ed erano loro a uccidere le persone inserite nelle liste di proscrizione durante l'epoca dei triumviri. (Era uno speculator anche l'uomo che Erode inviò a uccidere Giovanni Battista).

Abbiamo, comunque, ampi resoconti di come i servizi segreti venissero impiegati al tempo dei romani. Un utilizzo, per così dire, piccante, fu quello usato da Marco Opellio Macrino (164–218  d.C.) che fu Imperatore per 14 mesi soltanto, il quale sguinzagliò i suoi 007 con l’incarico di scoprire se un paio di suoi soldati se la intendessero con una sua procace ancella. Avendone ricevute indubbie prove di quanto sospettava, Macrino avrebbe fatto cucire i due responsabili nel ventre di due buoi vivi, lasciandogli fuori la testa perché potessero parlarsi. Di solito, però, gli imperatori si avvalevano dei loro agenti per compiti di ben altra rilevanza.

E di 007 ne avevano un gran numero. Diocleziano (243-311 d.C.), che ristrutturò il corpo degli spioni al suo avven­to al trono, ne aveva ben 1200. Il loro compito principale era quello di segnalare all’Imperatore qualunque voce dissenziente. E poiché i premi previsti per le delazioni erano consistenti (di solito erano gli stessi beni dell'accusato) le voci di calunnia e diffamazione della famiglia imperiale fiorivano rigogliose. Sotto Tiberio (42 a.C.-37 d.C.) venivano condannati individui perché entrati in una latrina o in un bordello con una moneta con l'effige dell'imperatore, o per aver trasformato in un piatto d'argento una statuetta del sovrano. E c'era anche la figura delatore che parlava intenzionalmente male del sovrano, solo vedere chi gli dava corda.

Il sistema di spie raggiunse però il massimo sviluppo con Domiziano (51-96 d.C.), imperatore sospettoso in modo proverbiale: soleva dire che «una congiura era sempre possibile». L’importante era prevenirla. Di solito, si agiva "dopo", quando cioè la fattaccio era stato compiuto ed era troppo tardi per opporvisi. Purtroppo per lui, aveva ragione: contro di lui furono architettate ben tre congiure. L’ultima, malgrado tutte le sue maniacali cautele, gli fu fatale. Secondo gli storici romani, l'Imperatore era convinto, chissà perché, che sarebbe morto intorno al mezzogiorno.

Perciò egli era solito riposare in quelle ore del giorno. Nel suo fatale, ultimo giorno Domiziano non si sentiva bene, e chiese molte volte ad un servo che ora fosse. Questi, essendo uno dei congiurati, mentì dicendo che era molto più tardi. Più a suo agio, l'Imperatore si sedette alla sua scrivania, per firmare documenti, ma lì fu accoltellato otto volte da Stefano, un altro componente del complotto cui faceva parte anche "l’augusta moglie", Domizia Longina.

Domiziano, comunque, prese il corpo militare dei frumentarii, gli addetti ai rifornimenti di grano per l’esercito, di stanza sul Celio, e lo trasformò in un corpo speciale di uomini che avevano un nuovo compito: raccogliere informazioni, anziché derrate alimentari. Da allora, comunque, la parola frumentarius divenne sinonimo di agente segreto, di delatore e spione, anche se tra i compiti del frumentarius rientravano incarichi innocui come quelli di corriere e sorvegliante. Senza dubbio i frumentari erano anche sicari di stato con licenza non solo di arrestare, ma anche di uccidere.

Con Diocleziano cambiò la denominazione, ma non la funzione: adesso le spie si chiamavano agentes in rebus, e non erano meno privi di scrupoli rispetto ai predecessori. È chiaro che la natura stessa degli agenti segreti impedisce un puntuale rendiconto delle loro azioni. Nondimeno, gli storiografi ci hanno tramandato vicende che ci fanno conoscere alcune attività più o meno edificanti da loro svolte. Proprio per le funzioni di controllo, costoro non godevano certo di ottima reputazione, e quindi sono spesso ricordati in contesti che fanno risaltare il lato peggiore del loro tipo di servizio.

La licenza di uccidere era messa in pratica senza soverchi scrupoli. Spesso si trovarono ad agire insieme agli speculatores, ("esploratori" o meglio "addetti allo spionaggio") che erano di fatto deputati alla raccolta di informazioni in tutte le province dell'impero ed alla sicurezza dello Stato. L’insieme dei Frumentarii e degli Speculatores, costituiva il corpo dei “Servizi Segreti”  dell'Impero. Al "servizio segreto" corrispondevano diverse incombenze: funzionava come servizio investigativo e come corpo di polizia incaricato della sicurezza interna.

Nella storia romana, la creazione di un organismo di servizio segreto, come già accennato, è avvenuta relativamente tardi per varie ragioni. In primo luogo perché l'idea di un'agenzia permanente e organizzata di tale natura, era estranea ai princìpi di governo della Roma repubblicana. In mancanza di una Procura generale, i primi Romani (come già i Greci) preferivano contare, per individuare le minacce contro lo Stato, sulla collaborazione di cittadini che fornivano informazioni e formulavano accuse. Quando l’Impero romano assunse proporzioni vaste e in continua espansione, i Romani, posti di fronte al problema di governare un territorio così enorme e genti tanto disparate, non ricorsero ad una istituzione centralizzata di servizi "celati e confidenziali", così come avevano fatto antecedentemente i Persiani (cfr. Senofonte, Anabasi).

Questo per un duplice ordine di cose: perché l'assolutismo proprio di un servizio segreto era contrario agli ideali di governo dell'oligarchia senatoriale, e perché l'apparato burocratico, di cui ogni servizio segreto efficiente abbisogna, avrebbe richiesto una disponibilità di uomini e mezzi in tempi troppo brevi. Appare significativo che il primo servizio segreto romano compaia nel periodo delle guerre civili che distrussero la Repubblica nell'ultimo secolo della sua esistenza.

Nel corso di tale periodo, le dinastie in lotta tra loro si rivolgevano a soldati "di fiducia", talvolta scelti dalla loro milizia privata o dalla guardia pretoriana, per venire a conoscenza di informazioni segrete o, in virtù del loro ruolo di ufficiali incaricati di arresti od esecuzioni, per svolgere i cosiddetti "lavori sporchi" tipici della polizia segreta. In ogni caso è pleonastico asserire come le attività di intelligence siano sempre state parte integrante degli affari di stato, tanto che senza di esse i Romani non avrebbero potuto edificare e salvaguardare il loro impero.

Sia in età repubblicana che in età imperiale, i Romani furono consapevoli che, per difendere i confini, per controllare la popolazione, per tenersi al passo con gli sviluppi politici all’estero e per garantire la sicurezza interna del loro stesso Stato, occorreva disporre di un mezzo utile a raccogliere informazioni, di uno strumento in grado di orientare efficacemente le decisioni.

La definizione di "attività di intelligence" in realtà include una vasta gamma di argomenti, solo approssimativamente legati alla messa in pratica di quelle arti da parte dei servizi di informazione dei nostri tempi. Tali attività di intelligence, spaziavano dalle operazioni di spionaggio e di controspionaggio, alle azioni segrete, dalle operazioni clandestine all’impiego di codici e di messaggi cifrati. Normalmente, in tempo di guerra, le cose si svolgevano così. I legionari romani in marcia recavano con se le armi in dotazione (gladio, scudo, lancia, 3 giavellotti ed il pugnale, detto sica), cibo per 3-4 giorni, una piccola pala, nonché 3 pali di legno. Ogni sera, dopo 15 o 20 chilometri di marcia, costruivano un accampamento fortificato: scavavano un "vallo", un piccolo fossato, e sul terrapieno formato dallo scavo piantavano una palizzata che circondava l'intero campo.

La divisione del lavoro era organizzata in modo da portare a termine la costruzione entro un paio d'ore. Nel frattempo altri legionari, cioè i frumentarii, si ponevano alla ricerca di viveri e di foraggio per i cavalli nelle vicinanze del campo. Anche un distaccamento di cavalleria, gli speculatores, perlustravano i dintorni, alla ricerca di notizie sulle truppe nemiche. Spesso a questi specialisti erano affidate missioni di esplorazione, di disturbo e perfino di sabotaggio.

Degli autentici commandos. I migliori tra questi, si calcola tra i 300 ed i 400 elementi, pur continuando a far parte dei reparti di origine ma in soprannumero, facevano una discreta carriera, fino al grado di centurione primipilo (il massimo per un sottufficiale) e conseguentemente percepivano una paga decupla rispetto al legionario, venti sesterzi al giorno. A Roma vi era la sede centrale del servizio, una "caserma" sul Celio, i Castra peregrina, localizzabile nell'area di Santo Stefano Rotondo. Ad essa facevano capo tutti i frumentarii, speculatores, soprannumerarii e centuriones deputatii; da qui partivano in missione per ogni angolo dell'Impero, Roma inclusa. Lo spionaggio, cioè la pratica intesa a trarre vantaggi (di diversa natura) dall’ottenimento di segreti relativi a nemici (anche potenziali), non era ristretto all’ambito militare, ma anche a quello civile. Lo spionaggio civile fu, a quanto testimoniato, praticato la prima volta dai Fenici intorno al 1000 a.C., essendo questo popolo dedito soprattutto al commercio via mare. Lo spionaggio civile presso i Romani era, in effetti, una potente arma cui ricorrevano le famiglie "potenti" per avere il sopravvento su altre famiglie con le quali erano in competizione sociale e finanziaria[3]. L'imperatore Adriano (76-138 d.C.) si diceva che, tramite i frumentarii, fosse in grado di "scrutare nei segreti di tutti". Secondo un’altra diceria, Adriano, notoriamente omosessuale, fece segretamente ricercare dai suoi frumentarii, "il giovane più bello di tutto l'Impero". Il "segnalato", e quindi il prescelto, fu un ragazzotto della Bitinia (zona oggi situata nel nord-ovest della Turchia) di nome Antinoo (110-130 d.C.) che divenne presto l’imberbe amante dell’Imperatore ed il suo inseparabile accompagnatore nei suoi tanti viaggi all'interno dell'Impero. (Presso il grande pubblico, la vicenda di Antinoo e Adriano è stata in tempi recenti riscattata dalla poeticità del romanzo di Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano, che narra la vicenda ponendo l'accento sugli aspetti romantici della storia).

Disgraziatamente, nell'ottobre dell'anno 130, Antinoo affogò nel Nilo. I servizi segreti dell’Imperatore, immediatamente allertati e sguinzagliati in giro per Roma e altrove, non riuscirono a far luce sull’accaduto: non si seppe mai se la morte di Antinoo sia stata frutto di un incidente, di un suicidio, di un assassinio o di un sacrificio alle divinità. Esemplare è anche a vicenda di Marco Aquilio Felice, un centurione frumentario, noto come "l'assassino di senatori"; questi ricevette dall'imperatore Didio Giuliano (133- 193 d.C.) l'incarico di eliminare i generali Pescennio Nigro (in Siria) e Settimio Severo (in Pannonia). Aquilio organizzò gli agenti e li fece infiltrare tra le truppe siriane e pannoniche, per avvicinare ed uccidere i due generali, ma il piano fallì. Allora Giuliano inviò direttamente Aquilio in missione, ma questi da bravo doppiogiochista si accordò con Settimio Severo, il quale lo rese latore della missiva con la quale imponeva ai Pretoriani di uccidere Didio Giuliano.

Sempre in relazione alle attività degli agenti segreti in tempo di pace, è rilevante, in tanti episodi della storia di Roma, il ricorso ai cosiddetti "delatores", cioè gli informatori. Augusto, ad esempio, ancor prima di assumere il potere assoluto, era solito impiegare personale di fiducia per individuare potenziali nemici e/o fatti eversivi. La delazione era un fattore costante e comune della sicurezza interna dell’Impero Romano. Oltre agli informatori, i primi imperatori utilizzavano proficuamente la guardia pretoriana e, in particolare, i suoi centurioni e i tribuni, perché svolgessero le funzioni di agenti "in borghese" e arrestassero i traditori. Dunque “Servizi” efficienti per combattere i nemici esterni e quelli interni, sventare ribellioni e complotti. I delatores e i vigiles si dimostrarono straordinariamente efficaci per scoprire tentativi di assassinare l’Imperatore e controllare le folle, sempre facilmente soggette alla sobillazione.

A loro erano affidati, in pace o in guerra, il compito di raccogliere informazioni, recapitare messaggi, arrestare persone, attuare le disposizioni imperiali. Inoltre, hanno "licenza di uccidere". Ovvio che, a gioco lungo, divennero alle popolazioni e alle stesse autorità, a causa dei loro arbitri. E, in nome della sicurezza del principe e dell’impero, la libertà già compromessa cessò di esistere del tutto.

Deterrenza, antisovversione, doppio gioco e agenti doppi, infiltrazione, intrigo. Parole che sembrano recenti, ma che nascondono invece concetti antichissimi, che risalgono fino agli Egizi e ai Persiani. Perché da sempre il Potere, non importa se politico o economico, ha l'esigenza di sondare gli umori, di parare i possibili colpi inferti dal nemico, di agire a sua volta prima che altri possano metterne in pericolo la possibilità di riprodursi e sopravvivere, anche fiaccandone il consenso popolare o la forza militare.

E dunque l'esigenza, per questo, di uomini fidati o sfuggenti, di reti di orecchie e bocche, di trame da tessere o da spezzare: i frumentarii romani e gli Agentes in rebus, gli scaldi vichinghi, il ricondizionamento delle spie teorizzato da Persiani e Cinesi, i Ninja giapponesi, il controllo della corte attraverso l'harem dei Califfi islamici. Su su fino ai più strutturati e sofisticati servizi delle nascenti potenze europee: il Consiglio dei Dieci veneziano, le reti spionistiche nell'Inghilterra del Cinquecento, la prima divisione tra intelligence con funzioni distinte interne ed esterne, la nascita della polizia politica, il sorgere delle grandi personalità spionistiche.

«La guerra è il Tao dell'inganno» lasciò detto Sun Tzu. E non si può dire che abbia avuto torto. Ma ancor meno torto aveva Oscar Wilde, il quale affermava: «Le spie non servono al giorni nostri. La loro professione si è esaurita. I giornali fanno il loro lavoro»

 


[1] Annibale Barca (247–182 a.C.) (dal punico Hanniba'al, "Dono [o Grazia] di Baal"), figlio di Amilcare che era stato soprannominato "Barca" (da Baraq che in punico significava "fulmine" oppure da "Barak" che significa "benedetto"). Morì suicida quando seppe che Prusia, re di Bitina, stava per consegnarlo al nemico. 

[2] Le dimensioni della colonna in marcia erano enormi. Si calcola che, sommando alle tre legioni, i reparti ausiliari, i civili, i tecnici, i mercanti, i familiari dei militi e tutte quelle unità che normalmente accompagnavano le truppe durante gli spostamenti, si arrivasse all'enorme cifra di 30.000 persone. La colonna era disposta in sei fila e, considerando che si rispettava la distanza di un metro tra le unità, è facile calcolare che si allungasse per una ventina di chilometri.

[3] In questo campo, anche se … fuori-epoca, rimane leggendario l’episodio di spionaggio commerciale ordito dai banchieri Rothschild, nel 1815, durante e dopo i Cento Giorni di Napoleone. Venuti a conoscenza della sconfitta francese a Waterloo, prima ancora che la notizia ufficiale dell'esito dello scontro giungesse in Gran Bretagna (grazie ad informatori da loro espressamente inviati sul posto) si vuole abbiano diramato il falso comunicato di una sconfitta inglese per far implodere la borsa di Londra ed accaparrarsi i titoli a prezzi stracciati. Il che avvenne, come previsto, ordito ed organizzato. A beneficio degli scaltri banchieri ed a merito della loro rete di spie.


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