Paolo Conte

"Questi nostri anni senza coraggio"

Il cantautore: nell'arte invenzioni zero, siamo pigri.

Certe cose sono finite e non sono state sostituite.

18 settembre 2009. - Esauriti da luglio. Ma ottimisti a tutto campo faranno comunque la coda, domani e sabato, per i due concerti all'Auditorium del Lingotto, nell'ambito di Mito. Paolo Conte pensa che ci saranno anche trasferte da Milano: «Forse si poteva fare una sera in più, però il programma è blindato, è andata così», riflette al telefono la voce di cartavetro impastata con quella simpatia pudìca che gli appartiene al di là dei cliché. Il maestro è uno dei rari astri da scrutare sotto il cielo bigio d'Italia. Al ritorno da una breve vacanza, ancora incredulo dell'autunno piombato sulle sue colline, non si sottrae.

Caro Paolo, stiamo navigando nel più grande periodo di incertezza sia politica, sia di parametri artistici, che ci sia accaduto di vivere.

«Certo, e questo nonostante sia un periodo di certezze. Glielo dico da amante del dubbio. C'è un'aria strana, non so se tutti gli inizi di secolo presentino queste caratteristiche, neanche gli storici ce lo hanno raccontato. Il Novecento ci ha mollati, è stato un secolo di gran carattere, pieno di dubbio e di equivoci, e ora siamo un po' in una zona buia. Forse chi ama le scelte guarda al futuro con soddisfazione: vedo bambini piccini che ragionano tecnologicamente, e questo significa qualcosa rispetto a noi».

Tutti i grandi nomi della musica popolare italiana stanno al riparo, parlano al massimo attraverso i concerti. I dischi di rilievo in uscita, sono pochissimi in tutto il mondo.

«Non si respira aria artistica da un po' di tempo. Certe cose sono finite, e non sono state sostituite da altre. Tutto il mondo manca di qualcosa che somigli al coraggio: non c'è quell'incoscienza che ha sempre sostenuto gli artisti, c'è piuttosto una ritirata».

Come annusa un artista come lei gli umori della società?

«Li annusa come cose che non lo interessano e non lo stimolano. Anche nella pittura: pensi a tutte le avanguardie nel '900, che spiriti meravigliosi. Ora tutti si attaccano a descrivere. Siamo in un punto di vista grafico tremendo: pensi a tatuaggi, piercing, graffiti sui muri. I tatuaggi sono sempre uguali, i piercing pure, senza pensare al male che fanno. E i muri sono dipinti fatti con lo spray, identici per il movimento del braccio obbligatorio che richiedono: niente, dal punto di vista ideativo e creativo. Io ultimamente mi diverto a fare dei piccoli collage; mi sto impratichendo, c'è un momento di scelta diverso rispetto alla pittura. Avviene con le forbici, a metà strada».

Lei è uno che ama lavorare e vivere in solitudine.

«Sono un vecchio orso, non mi piace la compagnia né la vita mondana. C'è chi ama la gente e chi no, è un fatto caratteriale».

In questa non simpatica atmosfera di cui si parlava, si assiste a una rivitalizzazione del jazz, o almeno ad un ritorno dell'attenzione su quel filone.

«Anche lì tutto è molto standardizzato. Invenzione zero, solo che essendo una novità organizzativa, gode del clima di alternatività: invece il jazz è fiacco più che mai, loffio. Molti campi si somigliano: nella filosofia, ad esempio, la Ragion Pura non si coltiva più, non c'è la grande metafisica, non il mistero. La filosofia si è allungata ad altri interessi, l'etica s'è mangiata tutto, mentre scompaiono i grandi problemi difficili che richiedevano un pensiero. Ci sono in giro pigrizie e conformismi. Povero Kant, ha esaurito tutto lui. Entrano atteggiamenti bassi, da oroscopo... siamo pigri».

Saranno possibili delle novità in musica?

«Bah, è un po' difficile, stanno cambiando i codici. Ho saputo che ci sono compositori classici che non le dico, che si fanno scrivere le musiche dalle logiche del computer. Chissà che succederà. Bisogna creare dei codici, ma al momento non si vede nessuno pronto. La tecnologia cambia la creatività, ma a me, così com'è, non stimola».

Come stanno i tuoi cassetti?

«Abbastanza pieni, grazie. Ma di roba mai finita, raffazzonata. Mi metterò a fare un po' d'ordine, chissà che non venga fuori qualcosa di nuovo».

Molti concerti?

«Sì, ma per un po' starò tranquillo. Però solo un po', ho una orchestra da far lavorare».

 

(La Stampa)