Cavour,
ultimo atto

Dagli Archivi segreti vaticani, la testimonianza
del frate che confessò lo statista sul letto di morte.

Papa Pio IX e Camillo Benso. Fotografie d'epoca.


27 aprile 2011. - Camillo Benso conte di Cavour, che nel letto di morte volle chiamare accanto a sé un sacerdote per ricevere i sacramenti, si limitò a confessarsi oppure ritrattò quelle posizioni che avevano provocato la scomunica di Pio IX contro di lui e contro tutto il Subalpinum Gubernium? [1] Pochi giorni dopo la morte dello statista, avvenuta alle 9 di mattina del 6 giugno 1861, era stato il fratello, Gustavo Cavour, a spiegare pubblicamente dalle pagine dell’Opinione che non c’era stata alcuna ritrattazione e che il conte era morto senza ammettere errori riguardanti la sua politica di annessione dello Stato pontificio. Ora negli archivi vaticani è stato ritrovato un documento rimasto fino a oggi inedito, che contribuisce a consolidare il quadro degli eventi di quei giorni. Lo ha messo in pagina sull’Osservatore Romano - il quotidiano della Santa Sede diretto da Giovanni Maria Vian - il Prefetto dell’Archivio segreto vaticano, Sergio Pagano. Si tratta della lettera autografa che il francescano fra’ Giacomo da Poirino consegnò a Pio IX dopo la burrascosa udienza durante la quale il Pontefice lo aveva rimproverato per aver confessato Cavour senza prima chiedergli di ritrattare. Un documento finito in una busta di atti diversi, riguardanti vari Pontefici, raccolti non si sa da chi, e rimasti fuori posto.

Fra’ Giacomo era il curato della parrocchia di Santa Maria degli Angeli a Torino, nel cui territorio risiedeva il conte. «A tenore di diritto canonico – spiega il Prefetto dell’Archivio segreto vaticano nell’articolo – Cavour non avrebbe potuto compiere la sua confessione sacramentale prima di aver rilasciato una pubblica ritrattazione dei gravi atti da lui ispirati contro lo Stato della Chiesa». La bolla di scomunica Cum Catholica Ecclesia prevedeva infatti che la confessione sarebbe stata invalida, e l’assoluzione inefficace, senza quella previa e pubblica ammissione.

Ma fra’ Giacomo – un uomo, annota Pagano sull’Osservatore, «tutt’altro che ingenuo e certamente integro» – in quella occasione fece prevalere il suo «scopo primario, pur se mischiato a una certa ingenuità», cioè quello di «salvare l’anima del moribondo, non quello di curarsi delle gravi censure ecclesiastiche in vigore». E, soprattutto, dopo la morte dello statista piemontese, tenne un atteggiamento «che poteva sembrare, e di fatto sembrò, ambiguo, sfuggente alla Santa Sede e allo stesso Pio IX». Anche Giacomo da Poirino, come il suo illustre penitente, non volle ammettere di aver sbagliato alcunché, e per questo il Papa gli proibì di confessare, gli tolse l’amministrazione della parrocchia e infine lo sospese a divinis. Solo in età avanzata cambierà idea: piangendo il «fallo commesso» chiederà a Leone XIII di essere reintegrato. Papa Pecci acconsentirà, e il frate nel 1884, un anno prima di morire, potrà riavere tutte le facoltà sacerdotali.

Nella lettera appena ritrovata, il francescano racconta al Papa in dettaglio le circostanze di quella confessione, ricordando come Cavour avesse detto chiaramente e davanti a testimoni che «intendeva di morire da vero e sincero cattolico». Parole che il suo confessore aveva voluto interpretare come una ritrattazione implicita. Di fronte a questa dichiarazione del conte «incalzato dalla gravità del male che a gran passi il portava a morte», il religioso si affrettò dunque ad amministrare il sacramento la mattina del 5 giugno, e il viatico la sera di quello stesso giorno. Il frate sottolinea nella missiva che «nel corso della sua gravissima malattia», Cavour «era ad intervalli soggetto ad alienazione di mente». Nel finale della lettera di scuse a Pio IX, fra’ Giacomo ribadisce di «aver fatto, quanto era in sé, il suo officio».

«Il buon frate (che malgrado l’increscioso episodio aveva al suo attivo una vita di impegno religioso zelante) – conclude il Prefetto dell’Archivio segreto vaticano -, pronto naturalmente all’obbedienza, passò il resto della sua esistenza nell’umile osservanza, anche se per lungo tempo dovette restar convinto di aver agito secondo coscienza cercando di salvare un’anima, pur nella trasgressione materiale di un precetto positivo pontificio».

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[1] Ecco il testo della scomunica di S.S.Pio IX ai “Padri della Patria” Cum Catholica Ecclesia:

Pertanto, dopo aver invocato la luce del Divino Spirito con preghiere pubbliche e private, e dopo aver sentito il parere di una scelta Congregazione di Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, con l’autorità di Dio Onnipotente, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, e Nostra, dichiariamo nuovamente che tutti coloro che hanno fomentato la ribellione nelle predette province del Nostro Stato Pontificio, ne hanno promosso l’illegale annessione, l’occupazione, l’invasione e cose simili, di cui Ci siamo lamentati nelle menzionate Nostre Allocuzioni del 20 giugno e del 26 settembre dello scorso anno, o hanno preso parte a qualcuna di queste imprese, nonché i loro mandanti, i complici, i fiancheggiatori, i consiglieri, i seguaci o chiunque altro abbia favorito la realizzazione di quanto sopra descritto, sotto qualsiasi pretesto o in qualunque modo, o vi abbiano preso personalmente parte, sono incorsi nella Scomunica Maggiore e nelle altre censure e pene ecclesiastiche irrogate dai Sacri Canoni, dalle Costituzioni Apostoliche e dai Decreti dei Concili Generali e particolarmente del Tridentino . E, se ciò è necessario, li colpiamo nuovamente con la Scomunica e con l’Anatema.

 

(lastampa.it / puntodincontro)

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27 de abril 2011. - Camillo Benso, conde de Cavour, quien en su lecho de muerte quiso llamar a un sacerdote para recibir los sacramentos, en aquella ocasión ¿simplemente se confesó o llegó a retractarse de las posiciones que habían provocado que el Papa Pío IX lo excomulgara junto con todo el Subalpinium Gubernium?

Pocos días después de la muerte del estadista, que tuvo lugar a las 9 am del 6 de junio de 1861, fue su hermano, Gustavo Cavour quien explicó públicamente —a través de las páginas de L'Opinione— que no había habido retracción alguna y que el conde había muerto sin admitir sus supuestos errores relativos a la política de anexión de los Estados Pontificios.

Recientemente, en los archivos del Vaticano, fue hallado un documento que había permanecido inédito hasta ahora y que ayuda a esclarecer el marco de los acontecimientos de aquellos días. Fue publicado en el Osservatore Romano - el periódico de la Santa Sede dirigido por Giovanni Maria Vian - por el Director del Archivo secreto del Vaticano, Sergio Pagano.

Se trata de la carta escrita por el fraile franciscano Giacomo Poirino que fue entregada al Papa Pío IX después de la audiencia en la que fue reprendido por el pontífice por haber confesado Cavour sin antes pedirle que se retractara. El escrito había sido archivado en un sobre de "asuntos diversos" que contenía documentos de varios pontífices y que habían sido traspapelados.

El Padre Giacomo era el cura de la parroquia de Santa Maria de los Ángeles en Turín, en cuyo territorio vivía el conde. «Según el derecho canónico - dijo el Director del Archivo Secreto del Vaticano - Cavour no hubiera podido llevar a cabo su confesión sacramental sin haberse retractado publicamente de los graves actos llevados a cabo contra el Estado de la Iglesia». La excomunión Cum Catholica Ecclesia afirmaba claramente que la confesión no era válida, y la absolución ineficaz, en ausencia de dicho acto previo.

Pero el Padre Giacomo - un hombre, escribe Pagano en el Osservatore, «lejos de ser ingenuo y, sin duda alguna, integro» - en esa ocasión privilegió su «objetivo principal, aunque mezclado con cierta ingenuidad» o sea «salvar el alma del moribundo y no él de curar las graves censuras eclesiásticas en vigor».

Y, sobre todo, después de la muerte del estadista piamontés, tuvo una actitud «que podía parecer, y de hecho pareció, ambigua, difícil de interpretar para la Santa Sede y para el mismo Pío IX». Giacomo da Poirino, al igual que su ilustre penitente, no quiso admitir que se había equivocado y por esto el Papa le prohibió confesar, le quitó la administración de la parroquia y finalmente lo suspendió a divinis. Sólo más tarde cambiará de opinión: arrepentido por la 'falta cometida' le pedirá al Papa León XIII ser reintegrado. Papa Pecci estuvo de acuerdo y el monje —en 1884, un año antes de morir— pudo recuperar todas sus facultades sacerdotales.

 

(lastampa.it / puntodincontro)

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