Una barba si aggira per l'Europa
Nelle librerie del Vecchio continente va a ruba “Il capitale”.
Luciano Canfora spiega la resurrezione di Karl Marx.

27 ottobre 2008. - Sorpresa, torna di moda Karl Marx. Centosessant’anni dopo il suo Manifesto del Partito comunista, i suoi libri, in particolare Il Capitale, riemergono dai magazzini, le librerie li espongono e li vendono.

Lo ha detto alla Buchmesse, il Salone de libro di Francoforte, Joern Schuetrumpf, il manager della casa editrice berlinese Karl-Dietz che pubblica le opere di Marx e Friedrich Engels in tedesco.

Le vendite del primo volume dell’opera, ha spiegato Schuetrumpf, sono triplicate dal 2005. Rispetto ai 500 libri venduti tre anni fa, infatti, quest’anno ne sono stati già venduti 1.500.

E lo dicono anche editori e giornali inglesi, così come in Italia proprio quest’anno sono stati ripubblicati suoi libri esauriti in pochi mesi. Un ritorno di fiamma dunque, di cui parliamo con Luciano Canfora, storico dell’antichità noto in tutto il mondo ma da sempre grande cultore del marxismo.

C’entra qualcosa la crisi finanziaria mondiale con questa riscoperta del padre del comunismo?

«Io credo che il comunismo non c’entri nulla, molto invece c’entra l’analisi sul capitalismo che ha prodotto Marx. Finora l’unico ad aver azzardato uno studio complessivo su tutto il meccanismo economico che dominava allora la società e la domina ancora oggi, seppure in forme diverse, moderne, globalizzate. D’altra parte non è la prima volta che Max torna di moda, ricordo che nel ‘91, all’indomani del crollo dell’Urss, il Wall Street Journal pubblicò un articolo in cui invitava a leggere il Capitale. E quel giornale non è certo un covo di estremisti comunisti...».

Ma Marx ha elaborato le sue analisi un secolo e mezzo fa, possibile che siano ancora valide oggi?

«E’ valido il modello scientifico, analitico, che lui usa e che è opera di un genio mai apertamente riconosciuto dall’accademia ufficiale: lui in fondo era un outsider, non un economista, si era laureato in filosofia antica con una tesi su Democrito. Eppure è ancora l’unico che ha tentato, con successo, un’interpretazione complessiva della società capitalistica. Non era facile, era un azzardo che però ha funzionato. Basti pensare al modo di produzione. Non si tratta di questo o quel modo, ma proprio del concetto stesso. Che si può applicare a qualsiasi produzione vigente in qualsiasi momento storico, anche a quella letteraria. E che – ed è questa la straordinaria intuizione di Marx – condiziona, modifica, plasma la società in cui opera. Le faccio due esempi: la cultura medievale ha molto a che fare col feudalesimo, quella antica con la schiavitù. Discorso che vale per ogni epoca e quindi anche oggi».

Ci faccia un esempio attuale, professore.

«Marx individuò e spiegò molto bene la questione dell’esercito di riserva, che erano i disoccupati di Manchester. Oggi quell’esercito di riserva non solo esiste ma si è diffuso su scala planetaria. Sono gli immigrati, pronti a prendere il posto lasciato dei lavoratori occidentali: a basso costo, con meno o addirittura senza diritti e garanzie sociali, più ricattabili, pronti a svolgere qualsiasi mansione, anche le peggiori. Oggi sono loro quei disoccupati di Marx, moltiplicati per un miliardo.»

Ma lei vede qualche nesso tra la crisi finanziaria che ha colpito il mondo e la riscoperta di Marx?

«Il primo nesso lo vedo perché fu proprio Marx a profetizzare la nascita e la crisi del capitalismo finanziario. Purtroppo però lo fece nel terzo libro del Capitale, cioè quello rimasto incompiuto».

E l’altro nesso?

«Nelle risposte che si cerca di dare alla crisi. Oggi, come durante la grande depressione degli Anni Trenta. Da dove altro viene se non da Marx l’idea dell’intervento pubblico nell’economia? Lo fece Roosevelt, che i suoi nemici accusavano di essere un cripto-comunista ancor prima della guerra e del patto con Stalin. Lo praticano oggi governi di centrodestra come quelli americani, francese e italiano. E lo praticarono regimi come quello nazista e quello fascista, che avevano qualcosa di socialista (e non solo nel nome o nelle origini dei loro leader)».

Dunque un Marx trasversale che va bene per tutti?

«Va bene perché aveva ragione, poi ognuno ne può usare un pezzo, magari anche strumentalmente. Tuttavia è evidente che anche la destra, qualsiasi destra voglia essere popolare e non elitaria, ha bisogno di Marx. Ha bisogno di mutuare concetti della sinistra, altrimenti non avrebbe alcun consenso di massa. Se il nazismo non avesse fatto leva sul movimento di massa, spaccandolo in due, la Germania sarebbe finita nelle mani dei comunisti sostenuti dall’altra metà di quel movimento».

E Berlusconi, anche lui utilizza Marx?

«Non so se consapevolmente o meno, ma certamente sa essere popolare, è capace di ottenere un consenso forte dalle masse. In questo si rivela molto intelligente, così come Tremonti che Marx l’ha certamente studiato».

E la sinistra italiana, che rapporto ha attualmente col suo vecchio padre o nonno?

«Nessuno direi. Bertinotti, che pure Marx lo conosce e lo ama, ormai mi sembra concentrato su altre culture, l’ecologismo, il pacifismo, rispettabili, per carità, ma altra cosa. Gli altri invece, pensano a Kennedy o a Clinton senza neanche rendersi conto che loro sono politicamente figli di Roosevelt che a sua volta, per certi aspetti, era figlio di Marx».

Canfora, ma lei si considera ancora comunista?

«Certo. Il comunismo è un’istanza che l’uomo si porta dentro da millenni, pensi che lo era già Platone. Non a caso Aristotele lo rimproverò, spiegandogli che sbagliava perché la proprietà privata è essenza dell’uomo. La storia, la pratica, i fallimenti di quell’idea danno ragione ad Aristotele, ma io la penso ancora come Platone».

 

(La Stampa.it)