Renata Tebaldi,
voce d'angelo

Donne d'Italia
Di Claudio Bosio.

 

6 dicembre 2010. - Alla fine della II guerra mondiale, dopo anni di sofferenze, privazioni e disagi, la gente comune aveva l’irrefrenabile desiderio di tornare a vivere una vita normale: il lavoro da fare era tanto e duro, ma, dopo aver sfacchinato tutto il santo giorno, si sentiva il giusto desiderio di divertirsi.

Le difficoltà economiche erano molto pesanti: mancava "quasi tutto". In pratica bisognava ricostruire da zero un’economia ed una nazione. Tuttavia i vari punti di ritrovo, quali le balere, i cinema, i bar, gli stadi, andavano sempre più affollandosi.

In questo contesto socio-economico, e in particolare verso la fine degli anni quaranta, in tutti o quasi i settori della vita quotidiana, prese forma una serie di rivalità, di dualismi che coinvolgevano la gente dei più diversi livelli sociali.

In politica c’erano comunisti contro democristiani, Togliatti contro De Gasperi; prima del referendum c’erano stati monarchici contro repubblicani. Al cinema spopolavano le due "maggiorate", Pampanini e Lollobrigida, ognuna con un codazzo di fans. Le rivalità in campo sportivo erano altrettanto sentite e sfociavano in polemiche accanite e durature. Paradossalmente, in quegli anni, le passioni in campo calcistico non giungevano a … valori di guardia perché lo strapotere del Torino di Mazzola, Loik e Bacigalupo raffreddava anche gli animi più accesi. In campo motociclistico c’era la rivalità Vespa-Lambretta, anche se a tenere banco era lo scontro Gilera-Guzzi. Al primo posto in tutte le polemiche, le discussioni nei bar, spesso degenerate in liti, era però il ciclismo, con lo scontro Coppi-Bartali, il duello del secolo.

Infine, all’inizio degli anni cinquanta, si formò un dualismo tutto particolare, che infiammò non solo l’Italia e che contrapponeva due strepitose cantanti liriche: Maria Callas (1923-1977) e Renata Tebaldi (1922-2004).

Il repertorio canoro dell’Opera lirica, all’epoca, era uno fra i più intensi contributi per alimentare speranze e ideali dopo una guerra tanto disastrosa (per uomini e cose) quanto sconvolgente (per ideologie e aspirazioni.

La gente del dopo-guerra, infatti, sembrava avesse bisogno di entusiasmarsi per i palpiti di Violetta, lo strazio di Desdemona e la gelosia di Tosca.

C’e da dire che questa passione era accentuata dalla co-presenza di tante figure professionali, che ben difficilmente avrà altro riscontro nel futuro: Maestri (con la M maiuscola!) quali Arturo Toscanini, Victor de Sabata, Tullio Serafin, Wilhelm Furtwangler, Issay Dobroven, Ionel Perlea, Guido Cantelli, Dimitri Mitropoulos, Herbert von Karajan, Gianandrea Gavazzeni, Georg Solti, Carlo Maria Giulini, Leonard Bernstein e cantanti prestigiosi quali Renata Tebaldi, Giuseppe Di Stefano, Mario Del Monaco, Nicola Rossi Lemeni, Giulietta Simionato, Franco Corelli, Ebe Stignani, Clara Petrella ecc.

Tempio della Lirica era, allora più di sempre, "La Scala". Dopo i danni dovuti ai bombardamenti aerei (avvenuti nella notte tra il 15-16 agosto 1943) il Teatro fu rapidamente ricostruito e riaperto l'11 maggio 1946, con un memorabile concerto diretto dal maestro Arturo Toscanini (1867-1957). (Per inciso: la Scala tornò, magicamente, a produrre circa 250 alzate di sipario/anno).

La ricostruzione della Scala fu voluta dal sindaco Antonio Greppi. Certo c' era da pensare prima alle case distrutte, e dané de reparaciùn del teatèr, ghe n’era minga, ma si trattava della Scala, vale a dire dell' immagine internazionale di Milano e dell' Italia stessa. Chiamò quindi un suo amico, il dottor Antonio Ghiringhelli (1899-1992), e l' ingegnere Luigi Lorenzo Secchi (1924-1991). I due si diedero subito da fare. Tanto per cominciare, Ghiringhelli, nominato commissario straordinario, anticipò di tasca sua i milioni occorrenti e l'ingegner Secchi si impegnò a riconsegnare il teatro esattamente come era, a fine aprile 1946. Fu un miracolo: La Scala risorse, pezzo per pezzo tutto era stato rifatto come prima, anche il famoso lampadario che era l'emblema del teatro.

Ma Secchi aveva un cruccio, enorme: cosa avrebbe detto Toscanini dell’acustica della "nuova" Scala? Un brutto ricordo ossessionava Secchi: quello della tragica fine dell' architetto Giuseppe Mengoni (1829-1877), costruttore della famosa Galleria. Qualcuno l'aveva criticato. Pochi giorni prima dell'inaugurazione, nel 1877, Mengoni salì per l' ultima ispezione sulla più alta impalcatura verso piazza Duomo e cadde giù, sfracellandosi sui mosaici del pavimento. Incidente o suicidio? Se alla prova l'acustica della Scala non avesse funzionato Secchi aveva in cuor suo pensato di seguire il destino di Mengoni. Per questo, il giorno in cui Toscanini doveva fare la sua visita ispettiva di fine lavori, l'ingegnere uscì di casa con la rivoltella in tasca. Toscanini, appena entrato, si portò al centro della sala e batté le mani.

Quindi gridò: "E' la Scala, è la voce della mia Scala!". Quel grido salvò la vita di Secchi e gli dette gloria. Ma la serata dell' 11 maggio 1946, con il concerto diretto da Toscanini, fu quella che stregò Antonio Ghiringhelli. Toscanini lo incontrò appena rientrato in camerino, e, afferrandogli una mano, se la portò al cuore dicendo: "Senta, senta come batte". E Ghiringhelli, con estrema audacia, prese la mano di Toscanini, la portò al suo cuore e gli disse: "Senta, senta il mio!". Si compì il sortilegio: Toscanini contagiò Ghiringhelli di … scalinite e Ghiringhelli, col suo viso pallido, i capelli bianchi, vestito sempre di blu, diventò il Sovrintendente della Scala, per antonomasia: 42 anni di indefessa attività!

C’è da rilevare che il consenso per l’operazione-ricostruzione-Scala  doveva venire dal Comando militare di occupazione alleato. Il sarcasmo del comandante alleato sugli italiani che erano "pronti a ricostruire l’Italia solo a parole" fece scattare Ghiringhelli: "Lei si sbaglia di grosso, io accetto e per di più  anticiperò il capitale e lavorerò senza chiedere una lira". Per 27 anni nel bilancio della Scala alla voce "compenso Sovrintendente" sarebbe apparso un semplice, eloquente trattino. Poi, meglio tardi che mai!, la segretaria Gandini avrebbe ricevuto dal Ministero del Tesoro un pacco confezionato con la ruvida carta gialla usata dai macellai: dal pacco emerse una quantità di banconote.

Era il rimborso delle somme anticipate dal sovrintendente. Tali somme sarebbero state devolute dal dott. Ghiringhelli ai Martinitt, antica istituzione milanese di assistenza agli orfani. (Fra i Martinitt che seppero farsi largo nella vita, ricordiamo Angelo Rizzoli, fondatore dell'omonima casa editrice, Leonardo Del Vecchio, patron di Luxottica-Ray Ban, Edoardo Bianchi, fondatore dell'omonima azienda produttrice di biciclette e automobili, Roberto Cozzi, Medaglia d' Oro al Valor Militare Prima Guerra Mondiale).

Questa era la Milano d’antan: veramente la capitale morale del Paese. Operosa,  irrefrenabile, generosa, la città dal coeur in màn. La Scala fu il Paradiso di Ghiringhelli. Ma nel 1969 arrivò la contestazione, la sera di Sant' Ambrogio, all'inaugurazione della stagione, vennero lanciate uova e vernice rossa sulle pellicce delle signore. Ghiringhelli sentì che era finito il suo tempo. Deluso e malato, si mise in disparte. "Sono anch' io un pensionato della musica". Morì in solitudine, lontano dalla sua Scala, come in volontario esilio.

Una città e una Scala che, ahinoi!, non ci sono proprio più.
 


Comunque, tornando al concerto di riapertura della Scala, Arturo Toscanini, invitò per una, ormai mitica, audizione selettiva, una giovane soprano, appena ventiquattrenne, dai lunghi capelli corvini, il volto incorniciato da due simpatiche "fossette", alta (1,75cm!) e … prosperosa: Renata Tebaldi. La prescelta avrebbe cantato la Preghiera del "Mosè" di Rossini  e sarebbe stata la voce solista del Te Deum nel "Requiem" di Verdi. Proprio in questo celebre brano, il soprano deve attaccare su una nota lasciata in sospeso dalla tromba ed è indicata come "una voce dal cielo". Durante le prove, Renata si trovava in mezzo al coro, ma Toscanini non era soddisfatto. Chiese, quindi, che il soprano fosse collocato in alto: "Voglio che questa voce d'angelo scenda veramente dal cielo". Sebbene la frase di Toscanini non avesse il senso che le viene generalmente attribuito, "Voce d'angelo" non poteva che diventare la più appropriata definizione di Renata Tebaldi e la accompagnò per tutta la vita.

Quella serata, con Toscanini sul podio, la consacrò definitivamente tra gli astri nascenti della Lirica, di cui divenne in breve stella di prima grandezza, affrontando con crescente successo e riconoscimenti di pubblico e critica molti ruoli sia del grande repertorio che meno conosciuti e frequentati. Per dare un’idea concreta di questo repertorio, vale la pena di ricordare che Renata Tebaldi ha cantato, con oltre 70 tra i più famosi direttori d'orchestra, 72 opere di 21 autori diversi: voce verdiana (12 opere), e pucciniana (9 opere) per eccellenza, repertori di cui portò in scena moltissime eroine, seppe comunque spaziare da Mozart, Gounod, Wagner (sempre in italiano, perché non amò mai cambiare "l'imposto" della voce cantando in altre lingue), Refice, Rossini, Catalani Spontini, Bach (Passione secondo San Matteo), Händel, Catalani, Giordano, Cilea, Ponchielli ecc. Fu anche Tatiana in una memorabile edizione scaligera dell''Eugenio Oneghin di Cajkovskij nel 1954 con Di Stefano, protagonista un giovanissimo Bastianini. Altro ruolo di cui non si può non accennare e dal quale fu indiscussa regina per decenni è Desdemona del verdiano Otello con Del Monaco.

Ma, invariabilmente, quando si parla della Tebaldi si finisce con parlare del suo dualismo con Maria Callas. Maria debuttò alla Scala nel febbraio 1950, interpretando il ruolo di Aida, sostituendo Renata Tebaldi che si era ammalata.  La presenza alla Scala della grande Callas passò quasi inosservata: il "Corriere della Sera", ne fece soltanto un accenno di poche righe.

Soltanto grazie all'aiuto della figlia di Arturo Toscanini, Wally, molto stimata e "potente" nell'ambiente scaligero, Maria poté ri-entrare alla Scala dalla "porta principale". Wally, infatti, fece in modo che il padre concedesse alla Callas, nel settembre 1950, una lunga audizione in cui Maria ebbe l'occasione di cantare alcune pagine del Macbeth di Verdi. Il Maestro rimase meravigliato dalla voce di questa cantante a lui praticamente sconosciuta. Egli stesso disse: «Non ho mai diretto Macbeth perché non ho mai, in tanti anni, trovato la cantante che potesse interpretare Lady Macbeth. Lei è la cantante che mi serve. Farò Macbeth con lei alla Scala. Presto riceverà una lettera dal teatro». Il sovrintendente Ghiringhelli, lo stesso che pochi mesi prima non aveva quasi degnato di uno sguardo Maria quando sostituì la Tebaldi nell'Aida, scrisse una lettera molto ossequiosa alla Callas, chiedendole la disponibilità per i mesi di Agosto e Settembre del 1951.

Nonostante Toscanini avesse voluto la Callas alla Scala con lui per interpretare Lady Macbeth, egli non amava la voce di Maria. Considerava Maria una artista, una donna con una voce possente, importante, ma non bella. Toscanini fu sempre perplesso riguardo al colore ed alla asprezza della voce della Callas; preferì sempre la Tebaldi, che rimase per lui l’unica "voce d'angelo". Ad ogni modo, non immediatamente, ma fra le due prime-donne fu rivalità. Non è vero che Renata Tebaldi sopportò, passiva, le … unghie di Maria Callas. Maria si sentì definitivamente la "numero uno" dopo il trionfo scaligero in Medea (dicembre 1953) quando, dimagritissima (una cura ormonale, non la leggenda di una tenia ingoiata) mise in ombra un'inaugurale Wally della Tebaldi. Una diceva: «Paragonarmi alla Tebaldi? Sarebbe come paragonare lo champagne alla Coca Cola».

L'altra rispondeva: «Lo champagne diventa facilmente aceto». Negli anni, mentre Renata fu quasi costretta a un decennale esilio al Metropolitan di New York, furono scintille. «La Tebaldi ha un difetto. Le manca la spina dorsale», malignava Maria. «Lei non ha il cuore», ribatteva Renata. L'altra buttava ancora paglia sul fuoco, asserendo: «Lei è una cantante adatta solo ad un certo repertorio. Io vivo in un altro mondo e considero me stessa un soprano come ne sono esistite poche». Non aveva freni e intanto faceva polpette del tenore Mario Del Monaco se osava tenere più lungo l'acuto o usciva troppo da protagonista al proscenio. Al di là di quelle prime stagioni scaligere, non "coabitarono" quasi mai negli stessi programmi.

Successe nel 1951 a Rio e a San Paolo. Maria ne uscì umiliata. L’impresario Barreto Pinto la protestò, sostituendola in Tosca proprio con la Tebaldi. Poi, fu sempre un duello a distanza, con la sola eccezione di Wally e di Norma in quel dicembre del 1953 che scatenò l' inferno del fanatismo per la voce «filante» di Renata o per quella piena d'ombre (era il suo personalissimo fascino) di Maria. Di certo, la "greca grassissima", diventata in pochi mesi miracolosamente filiforme, sotto la regia impareggiabile di Luchino Visconti conquistò prima la Scala e poi Milano. Vinse anche in città il partito, per così dire, callasiano che aveva infeudato la Scala, un po' stufa del belcantismo, della emilianità, della sostanziale paciosità di Renata, «fresca come un cetriolo, dalla consistenza cremosa», come scrisse l’acidosa Camilla Cederna. Coinvolta suo malgrado in questa rivalità, certamente gonfiata ad arte dalla stampa, nel 1959 Renata Tebaldi decise di lasciare definitivamente la Scala, "dove l’atmosfera  era diventata irrespirabile"  e di accettare l’invito di Bing al Metropolitan, benché tutto là le fosse  estraneo: Paese, città, lingua,  abitudini, teatro. Eppure decise, e ci  rimase più di vent’anni scegliendo di proseguire la carriera soprattutto oltreoceano, dove divenne la "regina" incontrastata.

Il Metropolitan non avrebbe mai dimenticato questa sua preferenza. Nel dicembre 1995, nello stesso Met, in occasione della presentazione della sua biografia tradotta in inglese, più di mille persone sono sfilate ininterrottamente davanti a lei per la durata di oltre sette ore: un autografo, un saluto, un abbraccio, un ricordo, una lacrima. È stata una mobilitazione dell’intero mondo musicale.

Si esibì inoltre a Chicago, San Francisco, Los Angeles, ottenendo una popolarità eccezionale in tutti gli Stati Uniti, superiore persino a quella della Callas, che pure era di nazionalità americana. Continuò inoltre a riscuotere grandi successi in templi dell’opera come il Covent Garden di Londra, l’Opèra di Parigi, il Liceu di Barcellona e il Teatro Municipal di Rio de Janeiro. Il dualismo fra le due prime-donne ebbe praticamente termine nel 1968, in un intervallo di Adriana Lecouvreur al Lincoln Center di New York. Fu la Callas a chiedere di poter incontrare quella che non era mai stata una sua sleale rivale, anche se non si era mai messa la sordina.

In quest’occasione, comunque, Maria, nel congratularsi con Renata, trovò delle parole molto toccanti e sincere, che segnarono la definitiva riconciliazione tra le due cantanti. A partire dai primi anni ’70, Renata Tebaldi cominciò a diradare i suoi impegni negli spettacoli d’opera e a dedicarsi prevalentemente ai concerti.

Forse, a distanza di anni, si può dire che la vera "Tigre" del palcoscenico lirico fu lei: Renata Tebaldi. Forse a sua stessa insaputa, e per questo ancor più autentica. "La Renata" che negli anni della maggior gloria, dopo successi oceanici, si rinchiudeva con la mamma, "la Tina" e il barboncino New nel suo appartamento del Buckingham Hotel per consumare una rapida cena (spesso prosciutto di Langhirano e verdura) sistematicamente rifiutando inviti da capogiro, "la Renata" che non ha mai dovuto progettare niente per diventare "Renata Tebaldi".

Era primadonna per struttura naturale. E lo è stata, sontuosamente, anche il giorno in cui, dopo il trionfale recital alla Scala, a favore dei terremotati del Friuli, decise di chiudere con la carriera e con il canto: nessun sentimentalismo, una lucidità consapevole e matura. Era il 23 maggio del 1976. Lo stesso giorno del debutto assoluto a 32 anni di distanza, si chiudeva per Renata Tebaldi, con una serata in cui venne salutata da un'apoteosi di ovazioni, un sipario che nulla e nessuno l'avrebbe più persuasa a far rialzare per lei. "Non ho mai più riaperto il pianoforte e non ho mai più cantato una nota", dirà. Non avendo mai nascosto di essere profondamente religiosa e sentendo il peso della responsabilità del dono del canto fattole dal buon Dio, sua preoccupazione costante era infatti quella di non saper cogliere il momento giusto per uscire di scena con la voce ancora intatta. Ed allora, anche per rispetto del pubblico oltre che di se stessa, come d'altronde anche qualche altro grande artista lirico di quegli anni, preferì ritirarsi al culmine, facendosi così rimpiangere da tutta quella miriade di ammiratori che ha ripagato la gioia da lei donata con la sua voce, collocandola di diritto nel Mito.

La carriera di Renata Tebaldi è durata 32 anni esatti: 23 maggio, 1944-1976. Ma lei non l’aveva programmato. E stato un puro caso.

Renata, la Voce d’Angelo, si è spenta il 19 dicembre 2004 nella sua casa di San Marino, all’età di 82 anni. È sepolta nella cappella di famiglia nel cimitero di Mattaleto (Langhirano).

Un’ultima nota di curiosità: assieme a Sophia Loren, Anna Magnani, Enrico Caruso, Beniamino Gigli, Ezio Pinza, Andrea Bocelli, Rodolfo Valentino e Arturo Toscanini, Renata Tebaldi condivide un singolare record, quello cioè di avere una stella nella Hollywood Walk of Fame, la famosa strada di Hollywood dove sono incastonate oltre 2000 stelle a cinque punte con i nomi di celebrità onorate per il loro contributo allo spettacolo.

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«Ha incominciato dalla vetta
e ci è rimasta
».

Harold C. Schonberg