Eleonora Duse,
la divina

Donne d'Italia
Di Claudio Bosio.

 

23 novembre 2010. - Nel "Vittoriale" dannunziano, invaso da 33.000 volumi, sono destinate alla scrittura diverse stanze. Nella stanza detta «l'Officina», in quanto dedicata alla produzione letteraria, anch’essa ingombra all’inverosimile di libri, dizionari e oggetti disparati, è tuttora presente un busto marmoreo raffigurante il volto di una donna, coperto da un velo di seta.

Si tratta di Eleonora Duse, un "mito" del teatro drammatico, non solo italiano, a cavallo tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento.

Per il "Vate" era la «musa velata», cioè la Musa che lo ispirava con la sua presenza muta e che lo affiancava al tavolo di lavoro, schermata in volto, celando con discrezione le proprie sembianze di quand’era giovane e bella.

L’immaginifico D’Annunzio, che amava ribattezzare le proprie amanti, la definì «La Divina», e, ancora, nel suo Libro Segreto, «La compagna dalle belle mani».

Non tutti sono consapevoli di cosa rappresentasse il teatro, in Europa, agli albori del XX secolo.

Senza dubbio era un fatto elitario, "il" diversivo pubblico-intellettuale che, al pari dell’Opera lirica, si concedeva la classe sociale emergente: la borghesia. Capostipite indiscusso del dramma borghese fu il norvegese Henrik Ibsen (1828-1906), che mise in luce i turbamenti del ceto-medio europeo, a cominciare dall’emancipazione femminile (in Casa di bambola) per finire con la crisi della famiglia (in Spettri). Altro autorevole drammaturgo fu lo svedese August Strindberg (1849-1912), per il quale l’elemento onirico e visionario diventò motivo dominante (il Sogno, la Sonata degli spettri ecc.).

In Inghilterra s’imponevano due autori teatrali di grande rilievo: Oscar Wilde (1854-1900), l’irlandese scandaloso, dalla penna irriverente (Il ventaglio di Lady Windermere, Un marito ideale, L'importanza di chiamarsi Ernesto ecc.) e soprattutto Bernard Shaw (1856-1950), pure lui irlandese, per il quale il teatro (La professione della signora Warren, Candida, Cesare e Cleopatra ecc.) doveva essere "… una guida della coscienza, un commentario della condotta sociale, una corazza contro la disperazione e la stupidità …". I due maggiori autori di teatro in lingua tedesca furono Gerhard Hauptmann (1862-1940), Nobel 1912, naturalista (noto il suo dramma I tessitori, l'epopea della massa di diseredati nella Slesia della prima metà dell'800) e l’austriaco Hugo von Hofmannsthal (1874-1924), simbolista, autore, tra l’altro, dell’Uomo difficile, in cui descrive la crisi di un aristocratico, reduce dalla tremenda esperienza della prima guerra mondiale.

In Russia si dedicarono al testo teatrale i due maggiori narratori dell’epoca: Lev Tolstoj (1828-1910) del quale merita ricordare Il cadavere vivente, perché la tragica fuga dalla famiglia del protagonista è tragicamente analoga a quella dell’Autore, conclusasi con la sua morte nella squallida stazione di Ostapovo, e Anton Cechov (1860-1904), autore dei notissimi drammi Il gabbiano, Zio Vanja e Le tre sorelle che rappresentano tutta la confusione spirituale della vita russa del tempo, un misto di grigia mediocrità, senza ideali e senza mète e, per contro, di utopica cerebralità, con troppi ideali e troppe mète. «Vite sciupate di uomini schiavi dell'abitudine di vivere» secondo Kostantin Stanislavskij.

Il dramma borghese penetrò in Italia abbastanza tardi, dopo il 1880, con Giuseppe Giacosa (1847-1906) cui si devono opere quali Tristi amori e Come le foglie, drammi con dialoghi sobri, in cui si usano le parole della quotidianità e che narrano, con tono malinconico, l’evolversi di grigie esistenze ma, nel contempo, esaltano la sana moralità della borghesia piemontese coi suoi valori di dovere, onore e responsabilità personale.

In questo contesto operò, con straordinario, universale successo, Eleonora Duse (1858-1924).

È noto che essa recitò più all’estero che in Italia. Incredibilmente numerose furono le sue tournées, dal 1885 al 1924, distinguibili cronologicamente in quattro periodi:

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le tournées dell’esordio nel 1885 in Sud America, dove portò un repertorio basato soprattutto su testi teatrali francesi;

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le tournées di fine Ottocento, iniziate in Egitto nel 1891 e proseguite per l’intero decennio in tutta Europa, in Russia e negli Stati Uniti. In questo periodo la Duse interpretò ancora testi francesi e aggiunge testi italiani come quelli di Goldoni, Marco Praga e Verga, traduzioni da Shakespeare (appositamente eseguite per lei da Arrigo Boito); inserì inoltre pièces di Ibsen.

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le tournées del primo Novecento, durante le quali l’attrice porterà in Europa e negli Stati Uniti e ancora in Sud America i testi teatrali scritti per lei da Gabriele D’Annunzio, oltre al suo solito repertorio.

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L’ultima tournée, dal 1921 al ’24, partì da Torino con una storica messinscena de La donna del mare di Ibsen, proseguì a Vienna e a Londra per concludersi nell’America del Nord, attraversata in lungo e in largo, da New York a Chicago, da Philadelphia a l’Avana, da New Orleans a San Francisco fino a Pittsburgh.

Va sottolineato, per altro, che, ovunque ed in ogni circostanza, Eleonora recitò sempre e soltanto in italiano.

Qual’era dunque il fascino, la forza attrattiva della recitazione di questa donna?

Come poteva farsi capire ed apprezzare dalle platee di tanti Paesi, diversi per lingua e tradizioni?

Se diamo retta a Cechov, che di teatro se ne intendeva, lo stile della sua recitazione la connotava fin da subito: essenziale, talvolta nevrotico, comunque modernissimo. Dello stesso parere è anche Hermann Hesse: «La sua recitazione, anche quella delle mani, è favolosamente fine, sensibile e trascinante; la sua meravigliosa voce è capace di ogni sfumatura e riesce ad essere commoventemente infantile o far gelare il sangue nelle vene». Non va dimenticato Bernard Show, il quale disse che «la Duse sa trasformare ogni parte in una nuova creazione».

In effetti, agli inizi del Novecento la Duse recitava senza aggrapparsi alle tende, senza gesti plateali, senza alcuna ridondanza. Aveva gesti misurati e atteggiamenti mai visti prima: se ne stava seduta, con le gambe semidivaricate, sotto le lunghe gonne, i gomiti appoggiati sulle ginocchia, parlando verso il basso. Oppure, in una scena di grande tensione, rigava uno stipo con una chiave, con fare ossessivo. O, ancora, si fermava immobile, gli occhi fissi nel vuoto, l’aria impaziente, addirittura annoiata.

Nella sua arte la Duse anticipò gli aspetti audaci del modernismo, recitando con una libertà sessuale che sconvolgeva ed entusiasmava il pubblico. Tratteggiava il profilo dei suoi personaggi con una linearità estrema, chiedeva le scene ed i costumi più semplici, non usava né gioielli né trucco, che per lei costituiva una maschera, "Fiamma tinta, fiamma spenta!", diceva. Reagendo naturalmente alle vicende che colpivano il personaggio da lei interpretato, sorprendeva il pubblico diventando all'improvviso di un pallore mortale o arrossendo violentemente, secondo le circostanze.

Spettacolo dopo spettacolo, creò una nuova donna: desiderava rivelare al pubblico la distanza immensa tra le idee comunemente accettate sulla donna e ciò che una donna era realmente. Sul palcoscenico sembrava inconsapevole di essere osservata; questo era uno dei segreti della sua naturalezza. Sembrava poi che Eleonora, nella comunione con il suo pubblico, trovasse una vera esaltazione e trascendenza. Aveva una voce sottile, talvolta leggermente stridente, che le consentiva una recitazione, ora rapidissima, ora pianissima, ma senza scoppi o toni alti.

Non si può dire che fosse "bella". Lo sapeva bene, ma sapeva altrettanto bene che la «bellezza serve alle donne per essere amate dagli uomini, la stupidità per amare gli uomini». (Come diceva Gabrielle Coco Chanel)

Aveva una figura magra, o piuttosto di "fause magre" come si diceva in Francia, ma ciò le consentiva, nelle scene d’amore e di seduzione, un abbandono della persona, un languore delle membra, quasi uno smarrimento dei sensi.

Forse il medesimo nevrotico abbandono che Eleonora Duse provò nella sua vita di donna.

Una vita travagliata, sofferta. E, per l’epoca, assolutamente scandalosa.

L’Eleonora-attrice, fu nella vita una donna sola, nonostante i suoi molti amori, le molte relazioni.

Nella vita privata, la Duse era una donna forte e risoluta, che conosceva la sofferenza ma sapeva anche infliggerla. "La vita è dura – diceva - bisogna ferire o essere feriti". Madre ritrosa, fu solo negli ultimi anni della sua vita che riuscì finalmente a riconciliarsi con la figlia Enrichetta, avuta dal marito Tebaldo Checchi, un mediocre attore, ma un uomo veramente per-bene. La Divina ebbe una vita amorosa, diciamo così, piuttosto appassionata: a parte i suoi … partners maschili [basta ricordare il poeta, librettista e compositore Arrigo Boito (1842-1918) e, per sua grande iattura!, Gabriele D'Annunzio (1863-1938)] Eleonora annoverava tra le amiche "un certo numero di note lesbiche o bisessuali". Molte non facevano mistero delle loro proclività mentre altre erano più discrete, tuttavia l’elenco è decisamente copioso. Sin dal 1888, ebbe una storia con Giulietta Gordigiani Mendelssohn, più giovane di lei di 13 anni, detta "la fiesolana", figlia del pittore, moglie del banchiere e violinista barone Roberto von Mendelssohn (che avrà anche lui una storia con la Duse).

Nel 1894 ebbe una frequentazione con Laura Orvieto, che vestiva da uomo e scriveva sulla rivista Il Marzocco con lo pseudonimo di "Mrs. El": Eleonora le mandava messaggi, fiori e foto, e la chiamava "Benozzo" perché somigliante agli angeli di Benozzo Gozzoli. Nel 1908, anno dei suoi 50 anni, ebbe inizio il suo intimo legame con Cordula Poletti, ragazza poco più che ventenne, celeberrima lesbica dichiarata ed ardente femminista, già … fidanzata di Sibilla Aleramo. La relazione finì, deteriorandosi in attriti e recriminazioni, dopo due anni, ma la Duse si rimetterà presto dalla delusione, accompagnandosi subito con la diseuse contessa Sophie Dreschel. Piuttosto "chiacchierato" fu anche il suo rapporto d’amicizia con Isadora Duncan, con la quale s’incontrava in tante tournées europee.

Con gli uomini non ebbe miglior sorte. A 21 anni, fu sedotta (e abbandonata, essendo incinta) da un certo Martino Cafiero, giornalista napoletano e deputato, bello e brillante. Costui, per altro, scomparve definitivamente dalla sua vita qualche anno più tardi: senza in realtà volerlo, perché crepò di colera. Il matrimonio, (nel 1881), con l’attore Tebaldo Checchi, come già accennato fracassò irrimediabilmente, in occasione di una tournée a Rio de Janeiro.

Tre anni dopo, nel 1884 la Duse si legò ad Arrigo Boito: lei aveva ventisei anni e lui quarantatre. In tutta Italia, Boito era una celebrità. La sua relazione con la Duse, che si basava soprattutto sulla stima e la fiducia, restò sempre segreta e durò, fra alti e bassi, per diversi anni: gli incontri avvenivano, in un clima di assoluta riservatezza, presso Ivrea al castello di San Giuseppe, dimora di un comune amico, Giuseppe Bianchi. Boito un uomo in grado di guidarla sia intellettualmente sia professionalmente, da cui poteva imparare e a cui poteva rivolgersi in caso di difficoltà. (Per lei tradusse i drammi shakespeariani Antonio e Cleopatra, Romeo e Giulietta e Macbeth).

Sarebbero rimasti vicini, nonostante la passione di lei per D’Annunzio, e pare che Boito l’abbia amata fino alla morte, avvenuta nel 1918. La loro storia era destinata a finire: i due, con caratteri, scelte di vita, abitudini inconciliabili, si lasciarono con dolore, inviandosi biglietti che oggi farebbero sorridere. Alludendo alla rottura Eleonora scriveva: "E’ come la morte, tale e quale" e Boito rispondeva: "E’ più che la morte perché era più che la vita!". Conclusa la vicenda con Boito, l’attrice si sentiva sentimentalmente finita. Amava il suo lavoro, era una mistica del lavoro, ma nello stesso tempo lo odiava.

Del suo impegno teatrale scriveva: "Bisogna recitare per giorni e per mesi parti odiose per ottenere alla fine il sacro premio di qualche attimo di respiro in una parte sentita e amata, e poi ricadere di nuovo nella dura necessità". E’ in questa condizione di spirito che Eleonora incontrò Gabriele D’Annunzio: L’attrice applaudita in tutto il mondo, aveva trentasei anni. D’Annunzio ne aveva trentuno, una moglie, tre figli, un’amante ufficiale, un’altra figlia, e una fama (mai usurpata!) d’implacabile seduttore. In un’Italia in cui le donne che lavoravano venivano pagate meno di un terzo rispetto agli uomini ed erano, comunque, addette a incombenze massacranti e servili, Eleonora era una donna ricca e indipendente che aveva la forza di essere se stessa.

Era irrequieta e non accettava consigli. Non era esibizionista, sembrava fragile ma al dunque era fortissima. Peccato che, a distruggerle la vita e i nervi, sia arrivato lui, il Vate. «Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato». Ecco come si esprimerà Eleonora Duse nei confronti di quello che fu l’unico amore della sua vita, alla fine del loro tormentoso e tormentato rapporto. La Divina lo amò senza riserve, ma il Vate la tradì non solo dal punto di vista sentimentale, ma anche sul lato professionale. Si servì, innanzi tutto!, di lei per soddisfare i tanti creditori che lo tampinavano, e poi la tradì, senza reticenze, con tutte le donne di cui si invaghiva. Secondo Isadora Duncan, (colei che danzava in peplo greco e a piedi nudi, e che morì a Nizza strangolata da uno scialle impigliato nelle ruote della sua Bugatti) d’Annunzio era "l’amante più meraviglioso [...] perché poteva trasformare la donna più ordinaria in un essere celeste".

Ciò non toglie che essere amate dal Poeta, fosse una sciagura, perché tradimento e abbandono erano garantiti, per quanto negati in partenza: nessuna delle sue donne, come nessuna donna in nessun amore, partiva dal presupposto che sarebbe stata tradita abbandonata, ma dalla speranza di essere quella che sarebbe riuscita a cambiarlo. Gioco rischioso, ma che valeva la pena, anche se la pena era tanta.

Qual era, dunque, il segreto di d’Annunzio, grande amatore e amante?

Dal punto di vista psicologico vale quanto detto da Isadora Duncan. Quanto alle prestazioni sessuali, d’Annunzio si vantava che il suo "gonfalon selvaggio" poteva durare in erezione anche dodici ore. Vero o non vero, questo fatto … naturale faceva sì che Gabriele intendesse l’atto sessuale come una rappresentazione teatrale, con la sua trama, i suoi ritmi narrativi, i suoi colpi di scena. D’Annunzio riteneva che la sua vita e la sua arte, per lui tutt’uno, fossero più importanti di qualsiasi cosa. E le bugie in amore, come i plagi rielaborati in letteratura, necessarie a migliorare amori, vita e arte. L’errore era pretendere da lui di essere sincero.

A Eleonora Duse, la donna che - nonostante tutto - rispettò di più, disse il massimo di verità che gli era possibile: «Non domandare». Lui aveva cinque anni meno di lei e non se li portava molto bene. Non era mai stato un bell’uomo. Alto 1 metro e 64, aveva persino i denti cariati, ma era un grande affabulatore. La loro storia cominciò con uno scambio epistolare.

La Duse, che aveva letto "L’innocente”, voleva convincerlo di preparare un’opera per lei da portare in scena. Ma fu dopo aver letto "Il Trionfo della morte" che la Duse cominciò a sentire per lui un’attrazione morbosa. Lo chiamava il "poeta infernale". Lui esercitava su di lei un fascino ambiguo di attrazione e insieme di ripulsa. "Preferirei morire in un cantone piuttosto che amare un’anima tale. d’Annunzio lo detesto, ma lo adoro" confiderà ad Arrigo Boito. Nell’autunno del 1895 i due amanti stringono il cosiddetto Patto d’Alleanza, vagheggiando un teatro dell’avvenire, che non si realizzerà mai.

I due, così, vicini, non lasciarono i rispettivi partners. La situazione più complicata era quella del Poeta. Dopo il matrimonio riparatore con la duchessina Maria Hardouin di Gallese, 18 anni, abbandonata al terzo figlio e l’appassionata relazione con Barbara Leoni, il Vate era legato ad una focosa principessa siciliana, che gli aveva dato una bambina, Maria Gravina Cruyllas di Ramacca, già separata e madre di quattro figli. Il marito tradito sfidò d’annunzio a duello e lo trascinò in tribunale con Maria. Saranno condannati a cinque mesi, ma non sconteranno la pena per un’amnistia. Secondo alcuni biografi centocinquanta sarebbero state le sue amanti certe.

Mezzo migliaio, secondo altri. Addirittura quattromila, quelle che affollarono il suo harem, dove non mancavano sniffate di cocaina. Malgrado tutto, secondo la Divina «Non esistono uomini sbagliati. Esiste l’amore. Esiste la passione. Ho amato un uomo crudele ed immorale ma non me ne pento, perché non ho avuto scelta». Furono molti gli affronti che dovette subire.

Quando scrisse il romanzo autobiografico "Fuoco", mise in piazza la sua relazione con la Duse (descritta come "vecchia" per età e "patetica" per atteggiamenti) rendendo pubblici anche i momenti più intimi e privati. Ma fu il tradimento artistico che fu veramente ingrato e imperdonabile: mentre lei, indebitatissima, era in America ad accantonare i fondi necessari per l’allestimento, lui affidava il ruolo principale il ruolo di Anna, la cieca, ne "La città morta" alla rivale, Sarah Bernhardt, che riteneva «più celebre è più adatta alle sue ambizioni». Durante i lunghi anni del loro tormentato rapporto lei continuerà a recitare e a indebitarsi, e lui a scrivere, a spendere i suoi soldi e a insidiare ogni donna che gli capitava a tiro.

E non si fermò lì. Le tolse anche la parte della protagonista ne "La Figlia di Iorio" che aveva scritto appositamente per lei, proprio quando stava per portarla in scena, (1904), preferendole la giovane Irma Grammatica ad interpretare il personaggio di Mila di Codra. Le mandò un fattorino al quale doveva riconsegnare il costume di scena e che era latore di un biglietto…«Il teatro è un mostro che divora i suoi figli: devi lasciarti divorare». La commedia ebbe un successo strepitoso. Questo fatto, giunto dopo anni di fiaschi e senza di lei, fu per la Duse un vero colpo. Il giorno dopo gli scrisse con tono angosciato «Mai più l’anima mia toccherà la tua……..mai più la ritroverò in me la tua anima…….siamo due, ma io sono morta».

Nel 1904 aveva ormai quarantasei anni e si rendeva conto di dover lasciare certi ruoli ad attrici più giovani. La Duse non si faceva più tante illusioni. Il dolore e la rappresentazione del dolore facevano parte integrante della sua vita e del suo lavoro da così tanto tempo che non riusciva neppure immaginare uno stato d’animo diverso. Il 25 gennaio 1909 la Duse recitò a Berlino "La Donna del Mare", una delle sue parti preferite, dopodiché si ritirò dalle scene.

Aveva recitato per quasi mezzo secolo, dall’età di quattro anni , ed era ormai sfinita. Condusse vita privata per parecchi anni. Poi, nel 1921, a Torino, nella città in cui, giovane attrice, aveva affrontato celebri confronti, ritornò davanti al pubblico per riprendere la vita nomade dell’attrice. La decisione di ricominciare a lavorare era dovuta anche per le necessità della vita, i suoi risparmi erano stati completamente svalutati dalla catastrofe della guerra. Questo e altro la obbligarono a ritornare sul palcoscenico.

Erano stati mesi di dubbi ed incertezze: l’attrice temeva il confronto con il passato, e un senso di pudore la sconsigliava di mostrarsi ormai sfiorita, davanti a coloro che avevano visto i suoi trionfi. Il 5 maggio 1921 infatti, sul palcoscenico del Teatro Balbo di Torino, dopo anni d’assenza, l’attrice si presentava in scena nelle vesti di Ellida, la protagonista della "La Donna del Mare". La critica definì la presentazione uno degli avvenimenti teatrali più importanti del secolo.

L’eco delle trionfali recite torinesi s’era sparso in una notte in tutta Italia. Il teatro aveva ritrovato la grande attrice e la stessa Duse rinfrancata dall’accoglienza del pubblico, aveva ritrovato il suo entusiasmo e aveva dato nuove forze al suo corpo consumato da una malattia che la stava travolgendo. Nel giugno dello stesso anno andò a Milano dove recitò nella bella commedia di Praga "La Porta chiusa".

Il pubblico entusiasta fece a Eleonora una tale dimostrazione che finì a commuovere quelli stessi che la facevano. Tutti gi spettatori erano in piedi ad applaudire , con gli occhi ancora umidi del molto pianto che la grandissima artista aveva fatto versare. La storia dell’attrice, ritornata alle scene dopo una lunga assenza ,il ricordo del suo passato sentimentale, la sua stessa malattia (TBC) fornirono ai cronisti dei grandi quotidiani materiale di prim’ordine per lunghi articoli romanzeschi.

I suoi spostamenti da una città all’altra, in un vagone a tenuta stagna per salvaguardare i suoi polmoni minati dal male, non potevano non accendere la fantasia del pubblico.

Così. quando morì nel lunedì di Pasqua del 1924, nella stanza di un hotel di Pittsburgh (Pennsylvania) durante una ennesima tournèe affrontata per rimpinguare le sue magre finanze inflazionate, il mondo intero sembrò fermarsi: la Duse non c’èra più.

Non c’èra più l’attrice che, con la sua modernità, aveva ridisegnato lo stile dell’interpretazione teatrale di qua e di là dall’oceano.

Non c’era più la donna che aveva scelto – sono parole sue – di «vivere sola, in randagia libertà». Morì così come aveva vissuto: in tournèe, per e attraverso la sua Arte.

D'Annunzio si appellò a Mussolini affinché lo Stato provvedesse a far tornare in patria, e subito, "la salma adorabile".

Devastato dal rimorso, disse per una volta la verità: " E' morta quella che non meritai."

Eleonora Duse, la Divina, riposa ad Asolo, in provincia di Treviso.

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Riportiamo un elenco (incompleto) del repertorio drammatico di Eleonora Duse:

 

1)       I miserabili                             Hugo

2)       Francesca da Rimini               Pellico

3)       Pia de Tolomei                       Marenco

4)       Teresa Raquin                        Zola

5)       La principessa di Bagdhad     Sandou

6)       La moglie di Claudio              Renan

7)       La signora delle camelie         Dumas

8)       La cavalleria rusticana            Verga

9)       Cesare e Cleopatra                 Shakespeare

10)    La città morta                         d’Annunzio

11)    La gioconda                            d’Annunzio

12)    Sogno di un mattino

di primavera                           d’Annunzio

13)    La gloria                                 d’Annunzio

14)    La locandiera                          Goldoni

15)    La donna del mare                  Ibsen

16)    Edda Gabler                           Ibsen

17)    Rosmersholm                         Ibsen

18)    Casa di bambola                     Ibsen

19)    La porta chiusa                      Praga

20)    Monna Vanna                        Maeterlinck

21)    Casa paterna                          Souderman

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«Le donne delle mie commedie
mi sono talmente entrate nel cuore e nella testa
che mentre m'ingegno di farle capire a quelli che m'ascoltano,
sono esse che hanno finito per confortare me.
»

Eleonora Duse