Scarpe

Dal volume "Favole di ogni giorno".
Di Giampiero Pierotti.

7 gennaio 2011. - Cari amici come promesso vi invio una delle mie favole per il vostro giornale nella speranza che venga pubblicata, inoltre chiederei gentilmente di inserire per i contatti anche il mio sito www.giampieropierotti.it

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Una sera, incuriosito, mi fermai di fronte ad una vetrina di scarpe e, guardandole con occhio critico, le vidi come protagoniste del bene e del male.

Sapete, ce n'erano tante da soddisfare tutti i gusti; era solo questione di prezzo e di stile.

Così mi venne fatto di pensare proprio a coloro, che, con la loro pelle, ne avevano fatto per prime le spese. "E se un giorno tutte insieme si mettessero a parlare? – Pensai. – Certamente ne sentiremmo delle belle". Invece si lasciano infilare dai nostri piedi con sottomissione, continuando ad essere fedeli fino alla fine dei nostri giorni e, in taluni casi, assistendo a compromessi e tentativi di corruzione d'ogni genere. Escono insieme e rientrano insieme come gemelli inseparabili per riprendere il giorno dopo, il loro viaggio massacrante, come protagoniste, senza poter dire mai la loro opinione.

Certamente il loro padrone non può avere interesse a far sapere che loro sanno e capiscono tutto ciò a cui si sottopongono,preferendo mantenere le distanze, eccetto che in occasioni di inviti importanti, quando è loro richiesta una presenza luccicante e impeccabile. Anche tra loro esiste diversità di condizioni e non sono immuni da attacchi di malumore.

Ve lo immaginate la notte quando vengono riposte e la destra accusa la sinistra, come capita in certe famiglie, di aver fatto cadere un’anziana donna con quel passo fuori sincronia? In quell’accusa vi sarebbe stato il terrore di essere gettata via insieme alla colpevole,a causa di quell’ infame destino che toglierebbe alle povere scarpe ogni diritto all’individualità.

A che serve infatti una sola scarpa senza la sua gemella? Meno male, quei loro bisticci corrono invisibili su onde silenziose che solo loro possono captare, poiché altrimenti uno come me, che è un povero operaio, come farebbe a dormire per essere fresco il giorno dopo? È fuori dubbio che non avremo mai la possibilità di conoscere i segreti di questi nostri antichi mezzi di locomozione.

Purtroppo il telegiornale ci ricorda, ogni giorno, il crescente numero di quelle scarpe che camminano nel male senza sentirsi intimidite dalle poche intenzionate a fermarle. Quelle vissute in povertà, lo sappiamo, non saranno un gran che, ma credo siano le sole, a questo mondo, che vivono alla giornata, senza molte forme di vanità.

Per questo non pecca di presunzione, lo hanno già appurato, la scarpetta del salto in alto, sottoponendosi ad uno stressante allenamento, anche per un anno, sperando solo nel primato; al contrario qualcuna che gioca nello stadio si dà certo delle arie, pretendendo anche una villa da quaranta stanze, per tenerci pure le sue sorellastre. Purtroppo, quelle calzate da mio padre, ho notato,sono spesso vergognose quando lo portano riscuotere la pensione. Poverette, hanno capito che guardando il cielo, non per romanticismo s’intende, ma perché appartengono alla categoria imbarcata, si sentono complessate. Infatti non pretendono, non possono pretendere, perché sanno benissimo che è dura per loro.

Ma a differenza del loro padrone si sentono tranquille, perché con quella misera somma riscossa, non rischieranno di essere rimpiazzate da altre più alla moda. Si possono definire così, hanno detto certi critici, scarpe di carattere,perché tengono con coraggio alla cara pelle. Credo sia dura per molte, il sottoporsi ogni giorno ad una vita di pressione; diversamente, immagino, si senta quella nel "comando", così capace a destreggiarsi, nel tenere solo gli altri al passo. Invece, altra personalità ha colei che fu dell’obbiettore, la quale non volle marciare, preferendo una vita civile, schedata in quegli scaffali come scarpa senza onore. Stamani passando nella grande piazza, che strano, mi sono meravigliato di vederne tante e ho immaginato, dalle scritte che portavano, avessero esperienze di catene.

Parlavano con rabbia tra loro, dicendo frasi come questa : "Ci vuol coraggio, pensate, dopo vent'anni è una vergogna". Aspettavano là, impazienti di formarsi in un gran serpente in via del Corso per spingere la nebbia con proteste. Accompagnate al suono dei tamburi le più cantavano: “Vogliamo, vogliamo luce nel domani”. Alcune spettatrici, non per caso, volevano farmi credere bisbigliando così "Quel loro bisogno non sarebbe necessario se fossero dell’Enel" e, ridendo con scherno, n fretta, si dileguarono nel vicolo del Moro.

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