Benedetto XVI a Onna
Il Papa abbraccia la gente di Onna, il paese distrutto dal sisma.

Di Goffredo Palmerini.

La visita del Papa ai terremotati e l'Italia unita sulla. Di Goffredo Palmerini.4 maggio 2009. - Che settimana straordinaria, quella appena trascorsa!

Prima di tutto la visita di Benedetto XVI ai terremotati.

Sobria, intima ed intensa la testimonianza d’affetto del Papa alle popolazioni colpite dal sisma del 6 aprile, proprio in linea con il carattere riservato, gentile ed austero della gente d’Abruzzo, la cui fede porta impressi i segni d’una tradizione severa ed antica, coltivata nei secoli con la cifra di benedettini e cistercensi, di francescani e celestini, culminata nell’esempio di quel Pietro del Morrone davanti alle cui spoglie, nella basilica di Collemaggio ferita dal sisma, Benedetto XVI si è raccolto in preghiera.

Quell’umile monaco, del quale quest’anno ricorrono ottocento anni dalla nascita, fu luce straordinaria per la Chiesa tormentata del Duecento, fu profetica figura spirituale per la cristianità, dopo Gioacchino da Fiore e Francesco d’Assisi.

Eletto papa il 5 luglio 1294 nel conclave di Perugia, dopo 27 mesi di sede vacante, con il nome di Celestino V volle proprio in Collemaggio l’imposizione della tiara, il 29 agosto. Pontefice per soli cinque mesi fino alla rinuncia al papato, il 13 dicembre 1294, per la prima volta nella storia, proprio dall’Aquila egli segnò profondamente il suo magistero con gesti profetici, mettendo pace tra le fazioni e donando alla città ed al mondo la Perdonanza, il primo giubileo della cristianità, gratuito ed universale verso chiunque fosse entrato a Collemaggio nel giorno che corre tra i vespri del 28 a quelli del 29 agosto d’ogni anno, sinceramente pentito e confessato. Papa Benedetto XVI, in segno di omaggio, ha deposto il pallio usato nel primo giorno del suo pontificato sull’urna che conserva il corpo di San Pietro Celestino, canonizzato ben due volte, nel 1313 come confessore e tre secoli dopo come papa.

Dunque, quasi una tacita promessa a tornare, magari per aprire la Porta Santa di Collemaggio in una delle prossime edizioni della Perdonanza Celestiniana. Quest’anno, proprio nel corso della settimana di celebrazioni della 715^ Perdonanza, dal 23 al 29 agosto, si sarebbe svolta all’Aquila la 60.ma Settimana Liturgica Nazionale, con migliaia di delegati di tutte le diocesi d’Italia. Ora, con le conseguenze del sisma, probabilmente qualcosa sarà rivisto. Anche se c’è una forte determinazione a voler presto risanare le ferite della basilica di Collemaggio, che ha il tetto crollato all’altezza del transetto.

Il Papa ha iniziato la sua visita da Onna, paese simbolo del terremoto per numero di vittime - quaranta su poco più di trecento abitanti - e per aver subito la distruzione dell’intero centro storico. Un rapido sopraluogo alla chiesa di San Pietro Apostolo, molto provata dai crolli, dalla quale qualche giorno fa illesa era stata recuperata la cinquecentesca statua lignea della Madonna delle Grazie, cui gli onnesi rivolgono grande devozione.

Quindi l’abbraccio del Pontefice ai terremotati di Onna, ai familiari delle 40 vittime, ai superstiti della tragedia. L’uomo vestito di bianco ha parlato con voce sommessa, ha consolato, ha portato parole di speranza, ha stretto fortemente le mani degli afflitti, ha guardato negli occhi il dolore di questa gente, ma anche la fede nella ricostruzione e nel futuro d’un paese ora ridotto in macerie, sul quale gli occhi di tutto il mondo si sono puntati sin dalle prime ore dopo il sisma.

Una giornata di pioggia, il 28 aprile. Non poteva essere diversamente, in una circostanza dolorosa come questa. “Ho ammirato - ha detto Benedetto XVI - il coraggio, la dignità, la fede con cui avete affrontato questa dura prova. (…) C'è in voi una forza d'animo che suscita speranza”. Quindi, richiamando un proverbio di queste parti, ha aggiunto “ci sono ancora tanti giorni dietro il Gran Sasso”, citando la montagna dove centinaia di volte Giovanni Paolo II è salito. Quindi il Papa ha invocato il Signore perché ascolti “il grido silenzioso del sangue di madri, di padri, di giovani e anche di piccoli innocenti che si leva da questa terra”. Benedetto XVI parla quindi con chi nella tragedia ha perso il futuro, tutti i propri figli. Conforta e consola, con parole di vita eterna.

Gli occhi degli onnesi s’inumidiscono, versano lacrime mentre salutano il successore di Pietro, trepidamente atteso per giorni e che ora hanno gradito come balsamo sulle ferite dell’anima. Un ultimo gesto di saluto con la mano, dal finestrino del pulmino bianco, poi il Papa parte per L’Aquila, verso Collemaggio e la Casa dello Studente, ed infine verso la Caserma della Guardia di Finanza, nel cui ampio piazzale l’attendono cinquemila sfollati provenienti dalle numerose tendopoli allestite dalla Protezione civile nel territorio aquilano.

Qui riceve il saluto dell’Arcivescovo, mons. Molinari, e del Sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente. Recita il Salve Regina e rivolge parole di grande intensità agli aquilani, di affetto e di comunione, nel dolore e nella speranza. “Come comunità civile occorre fare un serio esame di coscienza, affinché il livello delle responsabilità, in ogni momento, mai venga meno. A questa condizione L'Aquila, anche se ferita, potrà tornare a volare”. Incontra quindi le autorità, altri testimoni del dramma, religiosi e presuli, tra cui mons. Orlando Antonini, Nunzio apostolico in Paraguay, accorso subito tra la sua gente, appena dopo il sisma. La città sarà segnata per sempre dall’emozione di questa storica giornata.

Dal sacro al profano. Un altro storico evento ha segnato questi giorni. Anch’esso prende corpo tra le macerie di Onna, davanti alla lapide che ricorda 17 martiri del nazifascismo, quando il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, dopo quattordici anni - dal 1994, l’anno della discesa in politica - di “indifferenza” verso la festa della Liberazione, finalmente celebra il 25 Aprile, pronunciando un discorso che ha avuto il senso - e il merito - di recuperare finalmente una memoria condivisa della Nazione verso questa ricorrenza che segna il riscatto dalla dittatura fascista, il contributo del popolo italiano alla liberazione del Paese dal nazifascismo, il ritorno alla democrazia con i valori poi incardinati nella nostra Costituzione.

Festa di popolo, dunque, dove tutti gli italiani possono riconoscersi, come ha affermato nel suo messaggio il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, “(… ) anche quanti vissero diversamente gli anni 1943-1945 e quanti ne hanno una diversa memoria, per esperienza personale o per giudizi acquisiti”.

Berlusconi, al collo il foulard tricolore della Brigata Maiella, ha pronunciato parole chiare sul valore della lotta di Resistenza e sull’opera dei Padri costituenti, citando per nome Togliatti, De Gasperi, Parri, Nenni, Pertini e Terracini. Loda “il sacrificio dei nostri partigiani”, comunisti e democristiani, socialisti e liberali, azionisti e monarchici. Un discorso scritto, quasi perfetto, se non fosse - al di là della pietà umana che si deve verso i caduti, di qualunque parte - per qualche indulgenza a chi combatté dalla parte sbagliata, i repubblichini di Salò, e una confusione tra Liberazione e Libertà, che ben diverso significato hanno, non solo lessicale. Mette però una pietra su anni di polemiche, su maldestri tentativi di revisione storica, su goffe dichiarazioni, persino di qualche suo ministro. Afferma: “Compito di tutti è costruire finalmente un sentimento nazionale unitario.

Dobbiamo farlo tutti insieme, a prescindere dalle appartenenze politiche, per un nuovo inizio della democrazia repubblicana che porti il bene e l’interesse di tutti”. Sembra quasi un miracolo, venuto alla luce davanti alla tragica realtà del terremoto, che ha unito in un grande afflato tutti gli italiani, in un moto straordinario di solidarietà e di vicinanza alle popolazioni colpite, la cui dignità e compostezza hanno commosso il mondo.

Eppure dà una certa emozione vedere il premier con il simbolo tricolore dei reduci della Brigata Maiella, il reparto partigiano di quasi 1500 combattenti costituito in Abruzzo tra dicembre ‘43 e gennaio ’44 al comando dell’avvocato sulmonese Ettore Troilo, vanto del tributo abruzzese alla lotta di Resistenza e alla Liberazione dell’Italia. La Brigata Maiella, infatti, è l’unico reparto regolare partigiano ad essere decorato di Medaglia d’oro al valor militare. E ancora qui, nella stessa mattinata del 25 aprile, erano passati a rendere omaggio ai Martiri di Onna il Segretario del PD, Dario Franceschini, ed il Presidente dell’Udc, Pier Ferdinando Casini. Onna, dunque, non ha solo le ferite del terribile dramma del 6 aprile 2009. Porta ancora il segno tragico dell’11 giugno 1944 quando, solo due giorni prima della ritirata dell’occupante tedesco all’avanzata verso L’Aquila delle truppe alleate, questo borgo subì la brutale rappresaglia dei nazisti, con vittime e distruzioni.

Una strage avvenuta a freddo, meditata, seguita a un fatto di scarsa rilevanza avvenuto il 2 giugno, una colluttazione tra un giovane onnese che protestava con due militari tedeschi per il sequestro del suo cavallo, senza né morti né feriti. E tuttavia per quel fatto era stata uccisa Cristina Papola, diciassettenne dalla forte personalità che con il fratello Mario era andata anch’essa a reclamare dai tedeschi la riconsegna di due cavalli requisiti. Fermata dai tedeschi, si era rifiutata di fare il nome del giovane fuggito dopo la colluttazione. Fu solo la prima vittima, uccisa dai proiettili d’una pistola. Ma nove giorni dopo, l’11 giugno, il pomeriggio d’una domenica, fu scatenata la vendetta pianificata a freddo, che fece altre sedici vittime innocenti. La casa dove ebbe luogo l’esecuzione fu fatta crollare con le mine, come pure altre dieci abitazioni. Non senza la complicità d’un fascista del luogo, che abbandonò per sempre Onna.

L’operazione, con ogni probabilità, fu condotta dai militari inquadrati nella 114^ divisione Cacciatori, comandata dal generale Hans Boelsen. La strage è rimasta impunita, senza responsabili. Sul tragico evento l’unico accertamento su circostanze e responsabilità l’hanno fatto e documentato, nel volume “Indagini su un massacro, la strage nazista di Onna”, due bravi ricercatori onnesi, Aldo Scimia e Giustino Parisse, quest’ultimo capo redattore del quotidiano Il Centro che nel sisma ha perso i suoi due figli ed il padre. Fino ad oggi la strage è rimasta una ferita aperta nel cuore degli onnesi.

Come d’altronde impunita è rimasta l’altra strage nazista a Filetto, paese a poca distanza da Onna, avvenuta il 7 giugno ’44. Anche lì, a mezzanotte, una mitragliatrice sparò sugli abitanti di Filetto trascinati dalle loro abitazioni e radunati in un’area aperta, lasciati lì in attesa per ore fino al massacro, da un reparto della 114^ divisione Cacciatori, mentre il paese veniva saccheggiato e dato alle fiamme. Sul terreno restano 17 vittime, gli altri riescono a fuggire.

Ma ancora altre vittime c’erano state, all’Aquila. Qualche giorno dopo l’armistizio, il 23 settembre ’43, erano stati passati per le armi dai tedeschi, davanti un muro della caserma Pasquali, i Nove Martiri Aquilani, giovani patrioti catturati dopo uno scontro a fuoco fuori dalla città. Della loro morte si saprà solo dopo la liberazione dell’Aquila, il 13 giugno 1944, e si potrà dar loro degna sepoltura traendoli dalla fossa comune che essi stessi, costretti, s’erano scavata. Fu uno dei primi atti della Resistenza, dopo l’8 settembre, negli stessi giorni dei fatti di Cefalonia con la strage dell’eroica Brigata Acqui del gen. Gandin che, nell’Italia liberata, sarebbe stata ricostituita ed avrebbe avuto stanza proprio all’Aquila, in quella stessa caserma Pasquali.

Questi i tributi di sangue dell’Aquila alla Resistenza, all’Italia libera e democratica. Ma ora torniamo ad Onna. Qualche giorno fa ha ricevuto la visita dell’ambasciatore tedesco in Italia, Michael Steiner. Il diplomatico ha incontrato gli onnesi, ha espresso loro la commossa solidarietà del suo Paese. Si è reso direttamente conto della distruzione operata dal sisma. Sopra tutto ha confermato la volontà della Germania di farsi carico dell’intera ricostruzione di Onna. Un impegno notevole e generoso, un gesto dal forte valore simbolico che a 65 anni dalla strage nazista di quel tragico giugno del ‘44, unirà per sempre, in pace, quel grande Paese democratico alla popolazione di Onna. Quasi a rimarginare una ferita.

Infine, della settimana straordinaria, come non citare la bella festa del 1° Maggio all’Aquila. Semplice ed austera, senza bandiere e stendardi di parte. Cgil, Cisl e Uil, con i loro Segretari generali Epifani, Bonanni ed Angeletti, hanno celebrato nella Città capoluogo d’Abruzzo la Festa del Lavoro, con il fermo impegno ad essere accanto alle popolazioni ed alle Istituzioni locali per una solerte rinascita dell’Aquila e dei paesi distrutti dal sisma, rispettandone l’identità storica e recuperando al meglio, con la ricostruzione, le grandi valenze artistiche ed architettoniche della città e dei borghi.

Ma a quest’opera deve necessariamente, e presto, accompagnarsi la ripresa delle attività produttive, l’avvio di nuove iniziative d’impresa che scelgano L’Aquila per insediarsi, l’occupazione per chi l’ha persa ed il lavoro per chi non l’ha mai avuto. Una manifestazione di grande amicizia nei confronti dell’Aquila, dei suoi cittadini e delle sue istituzioni, la festa del 1° Maggio, continuata anche a Roma, a piazza San Giovanni in Laterano, nel tradizionale concerto al quale hanno assistito quasi ottocentomila giovani giunti da tutta Italia, dedicato proprio alle popolazioni colpite dal sisma, rappresentate dal gonfalone della Città capoluogo presente sul palco per tutta la serata. Davvero una bella giornata che ha visto, all’Aquila, dopo le divisioni degli ultimi mesi, finalmente insieme, uniti, i tre più grandi sindacati italiani. Per ricordare a tutti che la Repubblica è fondata sul lavoro, come recita l’art. 1 della nostra Costituzione.

 

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