Quarta stella a destra
il cammino di Galileo

Con una lente ora scheggiata e conservata come una reliquia il filosofo-scienziato
vide nel cielo che Copernico aveva ragione.

17 agosto 2010. - L'universo proibito al nudo occhio dell'uomo si svelò per la prima volta in un tondo pezzo di vetro grande come un'ostia: la lente del cannocchiale che il 7 gennaio 1610 permise a Galileo Galilei di scoprire i satelliti di Giove. A due passi dagli Uffizi, possiamo ammirare questo feticcio della scienza moderna nella sala principale del Museo Galileo, come ora a buon diritto si chiama il Museo nazionale di storia della scienza di Firenze, da poco riaperto nell'allestimento multimediale voluto dal direttore Paolo Galluzzi.

Spezzata in tre grossi frammenti, la lente è incastonata in una specie di ostensorio laico costruito con legno, metallo e avorio da Vittorio Croster nel 1677, 35 anni dopo la morte dello scienziato nel confino di Arcetri. La lente si ruppe accidentalmente quando Galileo era ancora in vita e fu donata al Granduca di Toscana, che aveva buoni motivi per apprezzarla, avendo essa rivelato gli astri di famiglia, i «Medicea sidera», come Galileo con perdonabile piaggeria aveva battezzato i satelliti di Giove nel frontespizio del Sidereus nuncius. Con due cannocchiali attribuiti alla mano di Galileo, la lente spezzata faceva parte della collezione di strumenti scientifici raccolti dalle famiglie de' Medici e Asburgo-Lorena.

La notte del 7 gennaio 1610 segna il confine tra la visione che poneva la Terra al centro dell'universo e la cosmologia moderna che relega il nostro pianeta in una modesta periferia. Con quella lente usata come obiettivo di un cannocchiale da 15 ingrandimenti, Galileo vede due stelline a sinistra di Giove e una a destra. La sera dopo le tre stelle sono tutte a destra del pianeta. Galileo è perplesso: sono davvero stelle? Il 9 gennaio il cielo è nuvoloso. Il 10 due stelline sono di nuovo a sinistra di Giove, e così pure il giorno seguente. Il 12 gennaio Galileo scorge due stelline a sinistra e una destra. Il 13 le stelline sono quattro, una a sinistra e tre a destra. Il 14 il cielo è coperto. Il 15 le quattro stelline sono tutte a destra del pianeta. Galileo incomincia a capire: sta osservando le lune di Giove, un sistema solare in miniatura. Il modello copernicano - Sole al centro e pianeti che gli orbitano intorno - ora non è più soltanto una teoria, lo vede, per analogia, realizzato in Giove e nei suoi satelliti. Il sistema eliocentrico, di cui fino ad allora era stato un semplice simpatizzante, ora gli appare come l'unico possibile, il solo che vada d'accordo con le «sensate esperienze».

L'eccezionale portata culturale della scoperta non impedì a Galileo uno sfruttamento a fini prosaici: gli servì a lasciare Padova per Firenze e, a parità di stipendio, avere una cattedra senza obbligo di insegnamento. Le eclissi dei satelliti gli fornirono poi la prova inoppugnabile della correttezza del sistema copernicano ma, ancora per interessi monetari, preferì tenerla segreta, nella speranza di vendere alla Spagna un metodo per misurare la longitudine in mare basato appunto sulle eclissi dei satelliti di Giove.

Galileo si procurava le lenti da maestri vetrai scegliendo con cura le migliori, ma talvolta le molava anche in proprio. A chi gli ordinava un cannocchiale spediva soltanto le due lenti, obiettivo e oculare, legate con un filo che permetteva di disporle alla distanza giusta. Il montaggio in un tubo toccava al committente. Solo in casi speciali Galileo procurava anche il tubo, che faceva costruire incollando insieme tanti listelli di legno poi avvolti in pelle decorata con fregi in oro. Nel 1611, con l'aiuto dell'artigiano alle sue dipendenze Marcantonio Mazzoleni, erano già una sessantina i cannocchiali smerciati in giro per il mondo. Il reddito era buono: Galileo vendeva i suoi cannocchiali a più del triplo del prezzo di produzione.

La lente più famosa nella storia dell'astronomia non è sempre rimasta passivamente esposta alla pubblica venerazione, e così pure i due cannocchiali che la affiancano. Nel 1923 Antonio Abetti, che dirigeva l'Osservatorio di Arcetri, e l'illustre ottico Vasco Ronchi sottoposero gli strumenti galileiani a una prova sul campo. Altri test fecero Guglielmo Righini (negli Anni 60) e, nel 1992, Vincenzo Greco, Giuseppe Molesini e Franco Quercioli dell'Istituto Nazionale di Ottica di Firenze.

Affiancato da George Ellery Hale, direttore dell'Osservatorio di Monte Wilson in California e progettista di grandi telescopi, Abetti il 23 giugno 1923 ripeté le osservazioni di Galileo su Luna, Sole, Saturno e Giove. Il primo cannocchiale mostrò un gruppetto di tre macchie solari. Sulla Luna si vide bene il cratere Copernico (90 chilometri di diametro), mentre Eratostene, largo 60 chilometri, si distingueva appena. L'immagine di Giove risultò confusa, i satelliti Io e Callisto si vedevano bene, mentre solo Hale riuscì a scorgere Europa e Ganimede. Saturno, che nel 1923 aveva gli anelli poco aperti, appariva come un dischetto allungato. Abetti e Ronchi misero poi alla prova la lente rotta montandola in un tubo con l'oculare del primo cannocchiale. Sulla Luna si distinguevano crateri di qualche decina di chilometri; macchie solari e satelliti di Giove diventavano osservabili con facilità. Nel 1992 Greco, Molesini e Quercioli analizzarono le lenti di Galileo con gli strumenti più raffinati oggi disponibili. I vetri mostrano una discreta regolarità delle superfici ottiche ma anche graffi, bolle e impurità che generano luce diffusa. La lavorazione risulta tuttavia buona tenendo conto dei mezzi di Galileo.

Possiamo fissare la nascita ufficiale dell'astronomia telescopica al 13 marzo 1610, quando entrano in circolazione le 550 copie del Sidereus nuncius, il libretto di 56 pagine che Galileo scrisse di getto per raccontare quanto aveva visto attraverso le sue lenti. Fu un bestseller, cinque anni dopo era tradotto persino in cinese. Di solito Galileo scriveva in un italiano chiaro, agile, elegante, tanto che Italo Calvino lo definì il migliore dei nostri scrittori. Da buon comunicatore, voleva raggiungere il pubblico più vasto usando la lingua quotidiana, ciò che per il Sant'Uffizio diventerà un capo di imputazione nel processo per eresia. Il Sidereus nuncius fa eccezione, è in latino perché doveva farsi leggere da tutti gli scienziati d'Europa. Eppure quelle pagine conservano una incredibile freschezza perché trasmettono la meraviglia dello scienziato che posa lo sguardo su cose mai viste prima. Sì, quel vetro scheggiato merita il suo barocco ostensorio.

Riaperto a giugno con il nuovo nome
Il Museo Galileo (già Museo di Storia della Scienza) conserva una delle raccolte scientifiche più importanti a livello internazionale. Si trova a Firenze in piazza dei Giudici 1, dietro il piazzale degli Uffizi. Dopo due anni di ristrutturazioni ha riaperto con il nuovo nome lo scorso 8 giugno. Orari: tutti i giorni dalle 9,30 alle 18; martedì dalle 9,30 alle 13; chiuso a Ferragosto

 

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