13 giugno 2012 - Non c’è dubbio. L’andazzo generale è sempre più questo: per distinguersi, bisogna essere marchiati. Gli oggetti che usiamo, gli ammennicoli di cui ci circondiamo, i vestiti che indossiamo, persino gli amici che pratichiamo, devono essere griffati. Non c’è scampo. Stiamo affogando in un mare di griffes: il coccodrillo di Lacoste, la V di Valentino, la testa di medusa di Versace, la doppia G di Gucci, la GA di Armani, la corona a cinque palle di Rolex, la VL intrecciata di Louis Vuitton …

 

Emporio Armani: Spring-Summer 2012 full fashion show.
 

La distinzione, per molta gente, sembra consistere nell’ostentare, su di sé un qualcosa di etichettato, meglio se firmato da uno stilista. In realtà il "griffarsi" più che una mania è una specie epidemia di vasto contagio. Pochi hanno il coraggio, ad esempio, di vestirsi senza preoccuparsi di essere fuori-moda. Succede però che i più, cioè i cacciatori di roba etichettata, si ritrovano tutti vestiti alla stessa maniera. Come tanti soldati. Ne consegue che la griffe, che doveva essere elemento distintivo, diventa, invece, elemento massificante.

La parola griffe è entrata a far parte del nostro linguaggio odierno, ma è francese. Secondo il dizionario etimologico Larousse, ha due significati: il primo è "artiglio", il secondo è "impronta", nel senso di contrassegno inconfondibile. Deriva dal tedesco antico grîfan, cioè "scelta", da cui il tedesco odierno greifen e l’inglese to gripe.
 


A pensarci bene, anche un altro termine che ha a che fare con la moda, ha un significato primario di "scelta": elegante, che deriva da "e-ligere", verbo latino che vuole dire, appunto, prediligere, saper scegliere. Ci sono alcune regole non scritte cui bisogna adeguarsi per essere eleganti. Un abito da pomeriggio non è un abito da sera, il teatro non è un salotto, la campagna non è la città. Il blu col nero non si può portare, il verde stona col rosa, le righe non si accoppiano ai quadretti. Il rosso non sta bene coi capelli biondi, le ragazze non portano gioielli, c'è un limite alla vivacità dei colori. La violazione di questi canoni ha un nome che è condanna definitiva: volgarità ("volgare"= appartenente al volgo, cioè popolano). Purtroppo, è del tutto avulsa dalla società attuale anche la sola idea che l’eleganza sia un insieme di scelte idonee, diverse per ogni diversa circostanza, quali l’atteggiamento, l’abito, il tono di voce, l’accessorio, la pettinatura ecc.

Scegliere e ancor più saper-scegliere, cioè discernere, è un processo mentale difficile. Lo dice la stessa etimologia della parola: nel greco antico, infatti, scelta era detta krisis, krisis. Quando scegliamo, dunque, siamo in difficoltà. Siamo in crisi. Questo spiega perché il dover scegliere non ci piace e preferiamo adottare quello che hanno scelto altri.

Comunque griffe, specie nell’orrenda traduzione nostrana di "griffato", furoreggia sempre più. Tuttavia c’è un garbato sinonimo di elegante, che abbiamo importato dalla Francia e che usiamo correntemente: "chic".

Questo termine ha cominciato a diffondersi fra i parigini, intorno ai primi anni del ´900. Lo scrivevano "chique" e lo impiegavano, come sostantivo, nel senso di disinvoltura, spigliatezza e solo in seguito di eleganza. L’origine etimologica del vocabolo è controversa. C’è chi ne vuole la derivazione tedesca (schick = abito) e chi ne ipotizza la nascita nel XVII secolo, quando, ai tempo di Luigi XIII, veniva detto chicane il comportamento di un individuo abile a destreggiarsi nei meandri della legge. (Chicane è una parola molto usata nel gergo dell’automobilismo e del motociclismo, e sta per una serie di curve ravvicinate).

Chic, parolina breve e gradevole, è approdata in Italia all’epoca della Belle Époque, insieme a tante altre legate al mondo della moda. Le donne che appartenevano a quel mondo possedevano degli indumenti che non si potevano chiamare altro che in francese: dal peignoir indossato per farsi pettinare dalla cameriera, alla fascinosa guêpière o alla vaporosa liseuse, una giacchetta di seta bordata di pizzi, dello stesso colore della camicia da notte, fatta di chiffon o addirittura tutta di struzzo, come un piumino da cipria. La cultura francese (quindi, anche lo chic) ha dominato la buona borghesia italiana fin oltre la IIa guerra mondiale (maldestri e ridicoli i tentativi del fascismo che cercava d’imporre italianizzazioni come la "ragazziera" al posto della "garçonnière"!).

Ciò si spiega con il fatto che, negli anni ’50, era ancora la Francia a dettare legge in fatto di moda. Ora comandiamo noi in questo campo. Abbiamo pertanto adottato il termine chic, restringendone l’uso al mondo della moda dove lo accostiamo a parole quali eleganza, stile, finezza, classe, raffinatezza, stile, buon gusto ... a questo proposito, è da rilevare quanto scriveva Leo Longanesi (La sua signora, 1957): «Un accessorio o un indumento non nascono "chic", ma lo diventano se chi li indossa è capace di farceli diventare». Insomma il segreto non sta nelle cose, ma nel modo in cui le usiamo, le portiamo e le abbiniamo... Anche la cosa più semplice può diventare chic se chi la indossa ha stile. «La moda è quello che uno indossa. Fuori moda è quello che indossano gli altri». (L’aforisma è di Oscar Wilde).

Un altro sostantivo relativo allo sfoggio (eccessivo) di eleganza e gentilmente fornitoci dalla lingua inglese è "snob". Con questo termine, felicemente attecchito nella nostra lingua, indichiamo di solito una persona che ostenta nel modo di parlare, vestire e di comportarsi, maniere ricercatamente raffinate e volutamente eccentriche. Per un buon dizionario lo snobismo è una vanità di coloro che ostentano opinioni, modi di essere e di sentire falsi e smodati, per sfuggire all’anonimato; in altre parole: eccedere in quel che altri fanno o dicono o esibiscono. Sembra che l'origine del termine snob derivi da un'antica procedura di registrazione degli studenti dell'Università di Oxford: si vuole che di studenti "non di sangue blu", venissero schedati, in calce al documento di iscrizione, come sine nobilitate, s(ine) nob(ilitate) (dal latino senza nobiltà, ovvero senza titoli nobiliari). Un'altra etimologia della parola sembra derivare da un dialetto inglese in cui "snob" significa "ciabattino" e che appunto gli universitari di Oxford lo utilizzassero per intendere una persona fuori posto.

Peggio di snob, in fatto di eleganza, c’è senza dubbio un’altra parolina che abbiamo fagocitato dal tedesco: "kitsch". Come tutti i vocaboli brevi, ha trovato un facile uso nella nostra lingua, dove la impieghiamo nel senso di pacchiano, di cattivo gusto portato all'estremo, sia involontariamente sia volutamente. L’etimologia di kitsch è curiosa: il vocabolo, in tedesco, si rifà più o meno al significato di ungere, imbrattare, scarabocchiare. Originariamente è kitsch ciò cui è stato spalmato sopra qualcosa, come una serratura lubrificata o un biglietto scribacchiato. Ed alla fine, nell’uso corrente,  diventano kitsch un oggetto o uno stile di dubbio gusto, con qualche caratteristica eccessiva.

Su snob e kitsch, si sono riversate caterve di aforismi. Ne citeremo solo alcuni:

bullet

Il kitsch è il gotico o il barocco della modernità (Frank Wedekind)

bullet

Gente per la quale obbedire, imitare e soprattutto non far pena a chi stimano di levatura sociale superiore alla loro, è legge suprema di vita: lo snob infatti, è il contrario dell'invidioso. (Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il gattopardo, 1958)

Per concludere, meglio tornare all’eleganza e alla moda.

È stato detto che niente passa tanto di moda come la moda.

Un tempo, vestirsi alla moda era appannaggio delle sole classi abbienti. I tessuti costavano troppo e così pure i coloranti usati, che venivano estratti dal mondo minerale, animale e vegetale. Prima dell'Ottocento, l'abito era considerato talmente prezioso che veniva elencato tra i beni testamentari. I ceti poco abbienti erano soliti indossare solo abiti tagliati rozzamente e, soprattutto, colorati con tinture poco costose come il grigio.

I tempi sono cambiati, certo, anche se il grigiore rimane il triste colore di tanti personaggi che vanno per la maggiore. Non sono soltanto "grigi" i loro vestiti ma specialmente, ahinoi!, le (poche) idee che frullano loro per il capo. Tant’è.

L’essenza della moda è un … modo di essere, un "qualcosa" da perseguire per far emergere la propria personalità. Sia per la donna che per l’uomo. Coco Chanel, la famosa stilista francese, asseriva che se una donna è malvestita, si nota l'abito. Se l’abito è impeccabile, si nota la donna. Ma aggiungeva: l'uomo può indossare ciò che vuole. Rimarrà sempre un accessorio della donna. Verità sacrosanta!

Essere eleganti è un’ambizione veramente ardua. Ma, allora, come fare per mettere in mostra il meglio di noi, facendo risaltare compiutamente la nostra personalità attraverso la "nostra eleganza"? Conveniamone. È troppo complicato.

Diamo retta, è meglio!, a Giorgio Armani secondo il quale "La vera eleganza non e' farsi notare, ma farsi ricordare."

 

(claudio bosio / puntodincontro)

 

bullet

Clicca qui per leggere gli altri articoli della serie Storia di parole italiane (e non), di Claudio Bosio,

 

***

13 de junio de 2012. - No hay duda. La tendencia general cada vez más es esta: para distinguirse, hay que estar "etiquetados". Los objetos que utilizamos, las cosas que nos rodean, la ropa que usamos, incluso los amigos que frecuentamos, deben ser "de marca". No hay escapatoria. Nos estamos ahogando en un mar de logos: el cocodrilo de Lacoste, la V de Valentino, la cabeza de Medusa de Versace, la doble G de Gucci, La EA de Armani, la corona de cinco bolas de Rolex, la VL entrelazada de Louis Vuitton...

La distinción, para mucha gente, parece estar basada en ostentar ropa o accesorios de marca o, mejor aún, firmados por un estilista. En realidad, el adornarse con logotipos, más que una moda es una especie de enorme contagio epidémico. Pocos tienen el valor, por ejemplo, de vestirse sin que les preocupe estar fuera de moda. Sin embargo la mayoría, o sea los cazadores de lo etiquetado, terminan todos vestidos de la misma manera, como si fueran muchos soldados en uniforme. De ello resulta que la marca, que tenía que ser distintiva, se convierte, en cambio, en un elemento despersonalizante.

La palabra "griffe" se ha convertido en parte del lenguaje cotidiano en Italia, pero es francesa. Según el diccionario etimológico Larousse, tiene dos significados: el primero es "garra" y el segundo es "huella" en el sentido de marca inconfundible. Deriva del alemán antiguo grîfan, o sea "elección", que da origen al alemán moderno "greifen" y al verbo inglés "to gripe".

Pensándolo bien, también otro término que tiene que ver con la moda tiene un significado primario de "elección": "elegante", que deriva de "e-ligere", del verbo latin que significa, precisamente, preferir, saber elegir. Hay algunas reglas no escritas que deben ser respetadas para ser elegante. Un vestido para la tarde es diferente de un vestido de noche, el teatro no es una sala de estar, el campo no es la ciudad. Azul y negro no se llevan y el verde desentona con el color rosa, así como las rallas no pueden mezclarse con los cuadros. El rojo no es bueno para el cabello rubio, las chicas no usan joyas y hay un límite para el brillo de los colores.

La violación de estos cánones tiene un nombre que es una condena irreversible: vulgaridad ("vulgar" = perteneciente a la gente común, al pueblo). Por desgracia, está totalmente divorciada de la sociedad moderna la idea de que la elegancia pueda ser un conjunto adecuado de opciones diferentes para diferentes circunstancias, tales como la actitud, la ropa, el tono de voz, los accesorios, el peinado etc.

Elegir —y más aún saber elegir, es decir, discernir— es un proceso mental difícil. Lo dice la propia etimología de la palabra: en griego antiguo, de hecho, la elección se llamaba "krisis", crisis. Cuando elegimos, por lo tanto, estamos en problemas. Estamos en crisis. Esto explica por qué no nos gusta tener que elegir y preferimos adoptar lo que han elegido otros.

Sin embargo la "griffe", sobre todo en la horrible traducción en lengua italiana "griffato", cada vez está más de moda. Pero existe otro más delicado sinónimo de elegancia que hemos importado de Francia y que utilizamos en la actualidad: "chic".

Este término comenzó a difundirse entre los parisinos a principios del siglo XX. Se escribía "chique" y lo utilizaban como sustantivo para expresar seguridad y espontaneidad. Sólo más tarde se convirtió en sinónimo de elegancia. La etimología de la palabra está en disputa. Hay quienes aseguran que deriva del alemán (schick = ropa) y quienes suponen que su origen se remonta al siglo XVII, cuando, en la época de Luis XIII, se le llamaba "chicane" al comportamiento de un individuo experto en sortear las dificultades de orden jurídico (Chicane es una palabra muy utilizada en el lenguaje del automovilismo y del motociclismo y describe una serie de curvas consecutivas).

Chic, una palabra corta y agradable, llegó a Italia en la época de la Belle Époque, junto con muchas otras conectadas con el mundo de la moda. Las mujeres que pertenecían a ese mundo poseían ropa a la cual solo se podía referirse utilizando nombres franceses: desde el peignoir usado para ser peinadas por una criada, a la fascinante guêpière o a la amplia liseuse, una chaqueta de seda adornada con encajes del mismo color que el camisón de noche, hecha de gasa o incluso de plumas de avestruz, similar a la textura de un instrumento para aplicar maquillaje.

La cultura francesa (y, por lo tanto, también lo que era chic) dominó a las clases medias italianas hasta después de la Segunda Guerra Mundial (pese a los torpes y ridículos intentos del fascismo que buscaban imponer versiones italianizadas como "ragazziera" en lugar de "garçonnière").

Esto se explica por el hecho de que, en los años 50, Francia todavía era el líder mundial en el campo de la moda. Ahora somos nosotros. Por lo tanto, adoptamos el término "chic", restringiendo su uso al mundo de la moda donde lo utilizamos junto con palabras como elegancia, estilo, clase, sofisticación, buen gusto ... En este sentido, cabe señalar lo que escribió Leo Longanesi (Su señora, 1957): «Un accesorio o una prenda no nacen "chic", pero llegan a serlo si quienes los utilizan son capaces de llevarlos puestos en la forma adecuada». Así que el secreto no está en las cosas, sino en cómo las usamos, las llevamos y las combinamos... Incluso la cosa más simple puede llegar a ser elegante cuando el usuario tiene estilo. «La moda es lo que uno lleva puesto. Fuera de moda es lo que llevan puesto los demás». (El aforismo es de Oscar Wilde).

Otro sustantivo relacionado con la ostentación de elegancia que nos es proporcionado amablemente por el idioma Inglés es "snob". Con este término, felizmente arraigado en nuestra lengua, nos referimos por lo general a una persona que utiliza en su discurso, en su forma de vestir y en su comportamiento, formas forzadamente refinadas y deliberadamente excéntricas.

Para un buen diccionario el esnobismo es la vanidad de aquellos que hacen alarde de opiniones y actitudes falsas y excesivas para escapar del anonimato. En otras palabras, exageran lo que otros dicen, hacen o exhiben. Parece que el origen de la palabra "snob" se deriva de un antiguo procedimiento de registro de los estudiantes de la Universidad de Oxford: según algunos, los estudiantes "no de sangre azul", se fichaban —en la parte inferior del documento de inscripción— con la leyenda "sine nobilitate", s(ine) nob(ilitate), del latín, sin nobleza, o sin títulos. Otra etimología de la palabra parece derivar de un dialecto de Inglés en el que "snob" significa "fachoso", término que los universitarios de Oxford utilizaban para referirse a una persona fuera de lugar.

Sin duda alguna es peor que snob, en términos de elegancia, otra palabra importada del alemán: "kitsch". Al igual que todas las palabras cortas, ésta ha encontrado un fácil uso en nuestro idioma, donde se emplea para describir algo de mal gusto, voluntario o involuntario. La etimología de "kitsch" es curiosa: la palabra, en alemán, se refiere más o menos al significado de ungir, untar, hacer garabatos. Originalmente se le decía kitsch a las cosas que se embarraban sobre algo, como una cerradura lubricada o una nota garabateada. Y, por último, en el uso actual, se han convertido en kitsch los objetos de dudoso gusto o estilo, con algunas características excesivas.

Acerca de snob y kitsch circulan muchísimos aforismos. Citaremos un par:

bullet

Kitsch es el gótico o el barroco de la modernidad (Frank Wedekind).

bullet

Personas para las cuales obedecer, imitar y, sobre todo, no sentirse inferiores a aquellos que consideran de posición social superior, es la ley suprema de la vida: ser snob, de hecho, es lo contrario de la envidia. (Giuseppe Tomasi di Lampedusa, El gatopardo, 1958)

Regresemos, para concluir, a la elegancia y a la moda.

Se ha dicho que nada pasa tanto de moda como la moda.

Hace tiempo, vestirse a la moda fue prerrogativa sólo de las clases altas. Los tejidos eran demasiado caros y también lo eran los colores utilizados, los cuales eran extraídos de minerales, animales y vegetales. Antes del siglo XIX, ropa y vestidos eran considerados tan valiosos que e incluían entre los activos en los testamentos. Las clases más bajas usaban ropa de formas toscas y, sobre todo, teñida con colores que provenían de tintes baratos, como el gris.

 

(claudio bosio / puntodincontro)

_________________________

 

bullet

Haz clic aquí para leer los demás artículos de la serie Historia de palabras y italianas (y no),
de Claudio Bosio,