Jean René Lacoste
 

24 agosto 2012 - Quando il caldo impazza, lo facciamo subito. Senza pensarci su. Procediamo, è vero, per gradi, ma risolutamente: prima ci liberiamo della cravatta e poi ci affranchiamo dalla giacca.

Come non dar ragione a Leo Longanesi, che asseriva: «Giacca e cravatta sono obbligatori solo nel caso di due tristi circostanze: funerali e matrimoni »?

Non c’è dubbio che il caldo lo si affronti meglio così, in maniche di camicia.

Sull'origine dell'espressione non sussistono incertezze semantiche: la giacca copre le maniche della camicia, "essere in maniche di camicia" vuol dire quindi essere senza giacca, con le maniche in bella mostra.

I dizionari etimologici concordano nel far derivare "camicia" dal basso latino "camisia", che indicava una veste usata dai militari. Altre interpretazioni, meno accreditate, si rifanno al latino "cama", letto, (cfr. spagnolo) per cui la camicia sarebbe "la veste con la quale si dorme".

Anche "manica", è un retaggio del latino ("manica(ae)", da "manus"). Il termine, però, si diffuse nell'età medievale e rinascimentale, quando, per necessità pratiche, i vestiti erano corredati di maniche “staccabili”, meglio abbinabili all’abito indossato. Gli innamorati se le scambiavano come dono. Lo stesso succedeva nei tornei cavallereschi. Le belle dame si staccavano le maniche dal vestito per donarle al vincitore. (Da qui l'origine della parola mancia, elargizione, compenso extra…).

Comunque, di maniche e di camicie, ce ne sono a bizzeffe.  

Ci sono camicie confezionate in Popeline, Oxford, Sea Island, Piqué, Fil-A-Fil ecc. [1]

Ci sono, per contro, maniche lunghe, corte, a palloncino, a campana (larga, che si strozza sul polsino) a pagoda (manica svasata sul polso) ecc.

Tuttavia, basta guardarsi in giro, per vedere che, durante la calura estiva, è sempre più indossata una comoda maglietta a maniche corte: la popolare T-shirt, detta anche polo.

Ormai, in tutti quei contesti che richiedono un abbigliamento non strettamente formale, una polo, a manica corta o a manica lunga, abbinata a dei bei pantaloni in tessuto, è ritenuta una soluzione più che ammissibile.

La T-shirt si chiama così per la sua indubbia forma a "T".

La polo si chiama così perché è una … contraffazione della casacca dei giocatori di polo.

(Lapalissiano!...)

Ma non tutti sanno che le T-shirts sono vecchie di più di cent’anni fa.

Sono state commercializzate dai Brooks Brothers, sin dal 1896. I vari rampolli delle famiglie Astor, Rockefeller, Vanderbilt, nonché altri notissimi esponenti dell’aristocrazia e della politica americana, hanno sempre rifornito il loro guardaroba da Brooks Brothers. Il logo aziendale è celeberrimo: The golden fleece, il "vello d’oro", che si rifà al mito di Giasone e degli Argonauti. Portano questo marchio molte altre "invenzioni" sartoriali della Casa, quali le camicie "button down", i boxer da uomo in cotone, le cravatte regimental ecc.


Il logo di Brooks Brothers.
 

Nel parlar comune, invece di polo si dice, assai spesso, "Lacoste". Esempio, "sono in lacoste e jeans"… Quasi si trattasse di un sinonimo e non di un marchio.

La polo della marca Lacoste, è una t-shirt dotata di un colletto chiuso da due o tre bottoni, e a volte dotata di un taschino. Sono di solito realizzate in maglina con lavorazione a piqué di cotone o fibre sintetiche.

La storia delle "Lacoste" vale la pena di essere raccontata.

Fino ai passati anni ´20, per giocare a tennis ci si abbigliava di tutto punto: pantaloni, giacca, camicia e cravatta. La rivoluzione, in questo campo, avvenne grazie ad uno straordinario tennista francese, René Lacoste (1904-1996). (Per chi non lo sapesse, Lacoste formò insieme a Jacques Brugnon, Henri Cochet e Jean Borotra la formidabile squadra dei "4-moschettieri", che strappò la Coppa Davis agli statunitensi nel 1927 e la vinse per sei stagioni consecutive, fino al 1932). La tradizione vuole che Lacoste, desideroso di creare un indumento sportivo, comodo e funzionale per i tennisti dell’epoca, prese in considerazione due indumenti: la camicia e la T-shirt (che era indossata soltanto come indumento di biancheria intima). Dalla fusione di questi abiti nacque quella che venne definita "polo" (che lui chiamò jersey petit piqué). La polo-Lacoste ebbe subito successo: conservava la praticità di una T-shirt a maniche corte, unita all’eleganza della camicia (nel colletto a coste). Lacoste indossò per la prima volta la maglietta di sua creazione nel 1927. All’epoca questa polo non portava ancora, ricamato sul lato sinistro, il famoso marchio che la contraddistingue e cioè il coccodrillo.

A questo logo, il primo che sia mai apparso su un capo di abbigliamento, è legata un’altra simpatica storia. Il giovane René, prima di un incontro di Davis, contro gli USA, aveva notato una borsa di coccodrillo in un negozio. Se la fece quindi promettere in regalo dal "capitano" francese Gillou, nel caso avesse battuto il leggendario William Tilden (detto Big Bill) l’indiscusso dominatore del tennis dell’epoca [2]. Lacoste batté Tilden ma non gli fu regalata alcuna borsa di coccodrillo. Un suo amico, Robert George, gli disegnò, allora, un coccodrillo da attaccare sul blazer che i tennisti indossavano entrando in campo. E fu così che Lacoste cominciò a essere chiamato dal pubblico statunitense The Alligator. Il nick-name gli si addiceva quanto mai. Come un coccodrillo, Lacoste stava tranquillo all’inizio di ogni match, sonnecchiando come un alligatore sulla riva del fiume. Poi, una volta studiato bene il comportamento dell’avversario, scattava e azzannava, senza più abbandonare la preda.

Il soprannome gli rimase appiccicato. E anche il simbolo rimase.

E, dal 1933, il coccodrillo divenne il logo cucito sulle varie realizzazioni della società Chemise Lacoste, fondata assieme a André Gillier, è tuttora operante con successo sul mercato.

Dopo Lacoste, si è assistito ad un incredibile proliferare di validissimi imprenditori, ognuno dei quali ha messo in commercio le proprie polo con dei logo esclusivi ed originali.

Dagli USA, hanno dilagato (sin dal 1972) le magliette con il marchio di un giocatore di polo, a cavallo.

Si tratta di una fortunata creazione di Ralph Lauren, un nome d'arte di Ralph Lifschitz, nativo del Bronx (1939), figlio d’immigrati ebrei dalla Bielorussia. Ralph, attualmente considerato il 158° uomo più ricco del mondo, aveva già esordito nel campo della moda riscuotendo un successo mondiale con le sue cravatte … impossibili, cioè extra-large, dai colori pazzoidi-flamboyants e dai tessuti costosi. Si deve proprio a Ralph Lauren l'abbinamento definitivo del nome "polo" con questo tipo di camicetta.


Marcos Carmona, José Jorge Balderas ed Edgar Valdez.
Tre famosi capi messicani della droga —detenuti recentemente— che hanno "imposto uno stile"
con le loro magliette Polo Ralph Lauren.


Ma anche l’Italia si fece largo, e con innegabile successo, nel mondo-mercato delle polo.

Il primo imprenditore in questo settore fu un ex tennista, campione di Davis, Sergio Tacchini (classe 1938) che in breve tempo, dal 1966, divenne famoso per le sue collezioni colorate, innovative e per la sua connotazione legata al logo, stilizzato, "ST". Tacchini ha sponsorizzato i maggiori esponenti di vari sport agonistici (Jimmy Connors, John McEnroe, Flavia Pennetta, Airton Senna, Costantino Rocca, Marc Zurbriggen….). Le sue T-shirts, originariamente bianche, sono oggi disponibili in un'ampissima palette di colori e, con linee uomo e donna, sono diventate l’indumento ideale per lo sport, ma anche per il tempo libero.

Un’altra, importante fetta del mercato delle T-Shirts, se la sono ritagliata (sin dal 1973) i fratelli Fila, piemontesi al pari di Tacchini. Il marchio della Casa è contraddistinto alla F rossa e blu e fu creato da Sergio Privitera. Il debutto di Fila nell’abbigliamento avvenne attraverso lo sport: tennisti famosi, da Borg, a Panatta, da Gabriela Sabatini a Monica Seles, sciatori del calibro di Ingemar Stenmark, Alberto Tomba, Deborah Compagnoni, alpinisti sommi quali Reinhold Messner (scalatore di 15 vette sopra gli 8mila, Everest incluso. E senza ossigeno!) hanno vestito Fila. 

A pensarci bene, noi italiani dovremmo andare orgogliosi dei successi commerciali di questi nostri compatrioti.

Anzi, proprio per questo, dovremmo, come si dice, darci delle arie.

Il che, col caldo che ci opprime, non può che esserci di sollievo!


[1]  La maggior parte dei tessuti prende il nome solo dal tipo della loro tessitura. Il numero che si vede indicato nella descrizione di tessuto usato, indica lo spessore del filato con il quale lo stesso tessuto è fatto. Più alto è questo numero, maggiore è il pregio del tessuto. (… e, ovviamente, anche il prezzo di acquisto!) 

[2] Alto, magro e dinoccolato, con braccia lunghe, mani enormi, e spalle eccezionalmente larghe, era un notorio omosessuale, che, comunque, quasi da solo, cambiò l'immagine pubblica del tennis giudicato uno sport da "signorine". L’effeminatezza collegata al tennis, all’epoca, era tale da portare W.C. Fields, comico quanto mai bizzarro e cinico, a commentare in un film, a proposito di due fratelli: "Uno gioca a tennis, l'altro invece è maschio" ("One's a tennis player; the other's a manly sort of fellow")". La carriera e la vita sociale di Tilden furono fatalmente compromesse dai suoi arresti per adescamento di ragazzi minorenni.

 

(claudio bosio / puntodincontro)

 

bullet

Clicca qui per leggere gli altri articoli della serie Storia di parole italiane (e non), di Claudio Bosio,

 

***

Jean René Lacoste
 

24 de agosto de 2012. - Cuando el calor nos aplasta, lo hacemos de inmediato, sin pensarlo dos veces. Poco a poco, es cierto, pero con firmeza: en primer lugar nos deshacemos de la corbata y luego nos despojamos del saco.

Es imposible no coincidir con Leo Longanesi, quien afirmó: «El saco y la corbata son obligatorios sólo en dos tristes circunstancias: los funerales y las bodas».

Sin duda el calor se tolera mejor así, en mangas de camisa.

El origen de la expresión es claro: el saco cubre las mangas, por lo que "estar en mangas de camisa" significa estar sin saco, con las mangas a la vista.

Los diccionarios etimológicos están de acuerdo en que "camisa" deriva del bajo latín "CAMISIA", que indicaba una prenda utilizada por los militares. Otras interpretaciones, menos acreditadas, relacionan la palabra con el término latín "cama" (cama, al igual que en español) así que la camisa sería "la prenda con la que se duerme".

También "manga" es un legado del latín ("manica(ae)" proviene de "manus"). El término, sin embargo, se difundió durante la Edad Media y el Renacimiento, cuando por practicidad las prendas se confeccionaban con mangas "desprendibles", que podían ser combinadas más fácilmente con la ropa utilizada. Los enamorados se las intercambiaban como regalo. Lo mismo sucedía en los torneos caballerescos. Las bellas damas desprendían las mangas de sus vestidos para donarlas al ganador. (De ahí el origen de la palabra italiana "mancia" —que se pronuncia "mancha"— que significa propina, recompensa, etc.).

En fin, hay un montón de mangas y de camisas.

Hay camisas hechas en popelina, Oxford, Sea Island, Piqué, Fil-A-Fil etc. [1]

Y hay, también, mangas largas, cortas, anchas, con forma de campana (amplia a lo largo del brazo y estrecha en la muñeca), mangas pagoda (que se ensancha a partir del codo) y así sucesivamente.

Sin embargo, basta con mirar a nuestro alrededor para ver que, en el calor del verano, cada vez se usa más la comodísima camiseta de mangas cortas: la famosa T-shirt, también llamada polo.
Ahora bien, en todos aquellos contextos que no requieren de vestimenta estrictamente formal, una camisa polo, de manga corta o manga larga, combinada con unos pantalones de tela, se considera más que aceptable.

La T-Shirt se llama así por su inconfundible forma que recuerda una "T".

La polo se llama así porque es una ... copia del uniforme utilizado por los jugadores de polo. (¡Obviamente!)

Pero no todos saben que las T-Shirts ya existían hace más de cien años.

Fueron comercializadas por los Brooks Brothers desde 1896. Los vástagos de familias distinguidas como los Astor, los Rockefeller, los Vanderbilt y otros conocidos aristócratas y políticos estadounidenses siempre han adquirido su guardarropa en Brooks Brothers. El logotipo de la empresa es famoso: The golden fleece, el "vellocino de oro", que se refiere al mito de Jasón y los argonautas. Llevan esta marca muchos otros "inventos" de sastrería de la casa, tales como las camisas "button down", los boxers para hombre en algodón, las corbatas "regimental", etc.
 

El logo de Brooks Brothers.
 

En el lenguaje común, en lugar de polo se dice muy a menudo, "Lacoste". Ejemplo: "Estoy en Lacoste y jeans" ... casi como si se tratase de un sinónimo y no de una marca.

La camiseta tipo polo de la marca Lacoste es una camiseta con el cuello cerrado por dos o tres botones, a veces con un bolsillo. Por lo general son tejidas en en piqué de doble hebra utilizando algodón o fibras sintéticas.

La historia de las camisetas "Lacoste" es digna de ser recordada.

Hasta los años 20, para jugar tenis había que vestirse formalmente: pantalones, saco, camisa y corbata. Quien revolucionó esta costumbre fue un extraordinario tenista francés: René Lacoste (1904-1996). (Para los no iniciados, Lacoste integró —junto con Jacques Brugnon, Henri Cochet y Jean Borotra— el formidable equipo de los "4-mosqueteros", que arrebató la Copa Davis a los Estados Unidos en 1927 y la ganó por seis temporadas consecutivas, hasta 1932).

Según la tradición, Lacoste, deseoso de crear una prenda deportiva, cómoda y funcional para los jugadores de tenis de la época, consideró dos posibilidades: la camisa y la T-Shirt (que era usada sólo como ropa interior). De la fusión de éstas surgió lo que se llamó "polo" (y que él llamaba jersey petit piqué). La polo-Lacoste tuvo éxito de inmediato: combinaba la practicidad de una camiseta de manga corta, junto con la elegancia de una camisa (por la forma del cuello). Lacoste usó por primera vez la camiseta de su propio diseño en 1927. Todavía no aparecía, bordado en la parte izquierda, el famoso logotipo que la distingue, el cocodrilo.

Este logo, el primero en aparecer en una prenda de ropa, está ligado a otra historia divertida. El joven René, antes de un juego de Copa Davis en contra de los Estados Unidos, había visto una bolsa de piel de cocodrilo en una tienda. Le pidió entonces al capitán del equipo francés Gillou que prometiera regalársela en caso de que lograra vencer al legendario William Tilden (también conocido como Big Bill), el indiscutible rey de las canchas de tenis de ese momento [2]. Lacoste ganó contra Tilden, pero no recibió la bolsa en regalo. Su amigo Robert George dibujó, entonces, un cocodrilo para ser bordado en el blazer que los jugadores llevaban puesto al entrar a la cancha. Y así fue como Lacoste comenzó a ser llamado por el público estadounidense "The Alligator".

El apodo le quedaba excepcionalmente bien. Como un cocodrilo, Lacoste esperaba tranquilo al inicio de cada partido, dormitando como un caimán en la orilla del río. Luego, una vez estudiado bien el comportamiento del adversario, atacaba de sorpresa, mordía y ya no dejaba escapar a su presa.

El apodo se le quedó. Y la imagen también.

Así, desde 1933, el cocodrilo se convirtió en el logotipo cosido en los diversos modelos de la casa Chemise Lacoste, fundada con André Gillier, y todavía presente con gran éxito en el mercado.

Después de Lacoste, se ha producido una increíble proliferación de valiosos empresarios, cada uno de los cuales ha comercializado sus polo con logos exclusivos y originales.

Desde los Estados Unidos empezaron a difundirse (a partir de 1972) camisetas con el logotipo de un jugador de polo a caballo.

Se trata de una afortunada creación de Ralph Lauren, nombre artístico de Ralph Lifschitz, oriundo del Bronx (1939), hijo de inmigrantes judíos de Bielorrusia. Ralph, quien se encuentra ahora en el lugar 158 entre los hombres más ricos del mundo, ya había hecho su debut en el mundo de la moda obteniendo reconocimiento mundial con sus corbatas ... imposibles, es decir, extra-grandes, con coloridos locos-flamboyanes y telas costosas. Se debe precisamente a Ralph Lauren la identificación final del nombre "polo" con este tipo de prenda.


Marcos Carmona Hernández, José Jorge Balderas Garza y Edgar Valdez Villareal.
Tres famosos narcotraficantes mexicanos —ya detenidos— que han "impuesto moda"
con sus playeras Polo Ralph Lauren.
 

Pero Italia también ha participado —con mucho éxito— en el mercado mundial de las camisetas tipo Polo.

El primer emprendedor de nuestro país en esta área fue un ex campeón Copa Davis, Sergio Tacchini (nacido en 1938), que en un corto período de tiempo, a partir de 1966, se hizo famoso por sus colecciones coloridas e innovadoras, y por su connotación relacionada con el logotipo, una "ST" estilizada. Tacchini ha patrocinado los principales exponentes de diversos deportes competitivos (entre ellos, Jimmy Connors, John McEnroe, Flavia Pennetta, Ayrton Senna, Costantino Rocca, Marc Zurbriggen). Sus camisetas, originalmente blancas, están ahora disponibles en una gama muy amplia de colores y líneas para hombres y mujeres y se han convertido en la prenda ideal para el deporte, pero también para el ocio.

Otro importante segmento del mercado de T-Shirts, fue conquistado (desde 1973) por los hermanos Fila, originarios de Piamonte al igual que Tacchini. El logo de la casa se basa en una F roja y azul y fue creado por Sergio Privitera. El debut de Fila en el mundo de la moda se dio a través del deporte: han utilizado prendas de Fila tenistas famosos como Bjorn Borg, Adriano Panatta, Gabriela Sabatini y Mónica Seles, esquiadores como Ingemar Stenmark, Alberto Tomba y Deborah Compagnoni, además de escaladores de la talla de Reinhold Messner (que conquistó 15 picos por encima de los 8 mil metros, incluyendo el Everest. ¡Y sin oxígeno!).

 

(claudio bosio / puntodincontro)

_________________________

 

bullet

Haz clic aquí para leer los demás artículos de la serie Historia de palabras y italianas (y no),
de Claudio Bosio,