5
marzo
2014 - Lo scorso 14 febbraio, Massimo
Barzizza —direttore responsabile di
Puntodincontro.MX— ha incontrato Carlos de
Buen, uno dei più noti avvocati del lavoro
in Messico, per un intervista sulle leggi di
questo Paese latinoamericano che regolano le
relazioni fra aziende ed impiegati.
Carlos de Buen è il direttore generale
dello Studio Legale de Buen, dove lavora dal
1973. Laureato in Giurisprudenza e Master in
Sociologia presso l'Università
Iberoamericana (UIA), è
inoltre specialista in Diritto del Lavoro
presso l'Università Panamericana (UP).
È stato Direttore Giuridico del Ministero
messicano per lo Sviluppo Sociale dal 2000
al 2003 ed è membro delle principali
associazioni di avvocati in questo Paese.
Appartiene all'Istituto Latinoamericano di
Diritto del Lavoro e della Previdenza
Sociale ed è uno dei fondatori della Società
Messicana di Diritto del Lavoro e della
Previdenza Sociale, che ha presieduto nel
periodo 2007-2009.
Massimo Barzizza: quali sono i principali diritti e doveri di
un'azienda e di un lavoratore in Messico?
Carlos de Buen: gli obblighi del lavoratore sono
essenzialmente quelli contratti con il
datore di lavoro, cioè lavorare,
sottomettersi a una disciplina, rispettare
un orario e soddisfare le richieste ricevute
relative all’impiego. Ci sono, inoltre, dei
doveri di fedeltà e segretezza. A differenza
di altri Paesi, in Messico non esiste
l’obbligo dell’esclusiva: con alcune
eccezioni, nulla vieta che i lavoratori —al
di fuori dell’orario di lavoro stabilito con
una certa società— possano fornire servizi
ad altri.
I
doveri del datore di lavoro sono legati ai
diritti dei lavoratori. Al di là degli
obblighi che oggi l'OIL definisce come
caratteristiche essenziali del "lavoro
dignitoso" come, ad esempio, il pagamento di
un salario che dovrebbe corrispondere al
valore dei servizi prestati —una
responsabilità che in Messico non viene
sempre rispettata—un aspetto importante del
mercato del lavoro di questo Paese è che, in
linea di principio, ogni impiegato
dev’essere assunto a tempo indeterminato e
il datore di lavoro non può risolvere il
contratto unilateralmente, se non vi è alcun
motivo valido. Esiste, ovviamente, la
possibilità di stabilire contratti a tempo
determinato o con obiettivi specifici e, in
questi casi, il lavoratore ha diritto a
continuare a lavorare fino a quando esiste
la causa che dà origine al contratto.
Eccezioni importanti sono applicabili ai
lavoratori “di fiducia”, che possono essere
licenziati con una certa libertà, pagando un
risarcimento di tre mensilità retributive
più 20 giorni di stipendio effettivo per
anno. In questo caso, il datore di lavoro ha
la facoltà di non reintegrare un lavoratore,
anche se fosse stato licenziato senza una
causa giustificata. Lo stesso vale per i
lavoratori temporanei, oltre a quelli con
un’anzianità inferiore ad un anno ed il
personale domestico.
MB: qual è la definizione di “impiegato di
fiducia”?
CdB:
La legge dice che i lavoratori non possono
essere definiti come “impiegati di fiducia”
dal nome del loro posto, ma secondo le loro
funzioni, che devono essere di direzione,
controllo o sorveglianza. Tutte queste
attività mirano ad un certo tipo di
rappresentazione del datore di lavoro in
relazione ad altri lavoratori e devono
essere di carattere generale nell’azienda.
Possono, inoltre, essere considerati parte
di questo gruppo gli impiegati che svolgono
attività di assistenza personale al datore
di lavoro. Ai fini pratici, si permette alle
parti —se esiste un sindacato— definire chi
rientra nella definizione di dipendenti “di
fiducia”. In assenza di sindacati, la
società determina lo status dei suoi
impiegati e, in questi casi, è molto comune
che tutto il personale amministrativo sia
considerato “di fiducia” quando, in realtà,
molte funzioni —come quelle svolte dalle
segretarie generali e dalle dattilografe—
non soddisfano i requisiti di legge per
essere considerate tali.
MB: per quanto riguarda i salari dei lavoratori,
esiste un livello minimo stabilito dalla
legge messicana?
CdB:
Esiste uno stipendio base di reclutamento
che, una volta fissato, non può essere
modificato unilateralmente. Le correzioni
devono essere realizzate tramite accordi
sindacali, una trattativa diretta tra il
datore di lavoro e il dipendente o per mezzo
di un processo formale nell’ambito della
Commissione di Conciliazione e Arbitrato (Junta
de Conciliación y Arbitraje).
La determinazione delle retribuzioni minime
è responsabilità della Comisión Nacional
de Salarios Mínimos (CONASAMI), un
esempio del “corporativismo mussoliniano
alla messicana” incorporato nelle nostre
leggi federali sul lavoro nel 1931. In
quell’anno, anche se il presidente era
formalmente Pascual Ortiz Rubio, il potere
dietro le quinte veniva esercitato da
Plutarco Elías Calles che —sebbene non sia
stato in grado di confermarlo al 100%—
sembra che abbia copiato dal regime di
Mussolini la struttura del corporativismo
italiano di quel tempo. Furono create, così,
organizzazioni tripartite in cui sono
rappresentati il governo, gli imprenditori e
le organizzazioni sindacali, organizzazioni
che in questo Paese continuano ad esistere.
Come ho già detto, la CONASAMI fissa i
salari minimi in tutto il Paese. Ed è
proprio questa struttura tripartita che ha
contribuito negli ultimi decenni alla
significativa caduta del livello dei salari
in Messico, dal momento che i rappresentanti
dei lavoratori soccombono costantemente per
2-1 nelle votazioni contro il governo e il
settore privato.
Oggi i salari minimi messicani, secondo
alcune statistiche che ho letto di recente,
si trovano agli ultimi posti in America
Latina, dopo un calo costante che ha avuto
inizio durante il sessennio del Presidente
Miguel de la Madrid (1982-1988).
La CONASAMI fissa diversi livelli di salari
minimi regionali ed alcuni salari minimi
professionali, questi ultimi corrispondono
principalmente ad occupazioni come quelle
dei falegnami, operai edili specializzati,
ecc. Quelli corrispondenti alle
infermiere, ai giornalisti e ai fotoreporter
sono fra i più alti.
Questo basso livello salariale è sicuramente
una spiegazione della crisi finanziaria
dell'Istituto Messicano della Previdenza
Sociale, i cui contributi corrispondono a
percentuali sui compensi percepiti dai
lavoratori.
MB: sono previsti bonus, vacanze e
prestazioni supplementari allo stipendio?
CdB:
La tredicesima è di 15 giorni all'anno per
legge. Per mezzo di negoziati tale importo
può, ovviamente, essere maggiore. Per quanto
riguarda le vacanze, il Messico è uno dei
paesi più “avari”: si inizia con 6 giorni
l'anno durante i quali i lavoratori ricevono
la loro normale retribuzione ed un compenso
aggiuntivo del 25%. I giorni di vacanza non
possono essere richiesti fino ad aver
completato un anno di anzianità.
In aggiunta a queste prestazioni, sono
obbligatori esborsi per la sicurezza
sociale. Una delle assicurazioni più
importanti, che copre il rischio di
incidenti sul lavoro, ha un costo che
dipende dall’attività svolta e può
raggiungere un massimo di circa il 35% dello
stipendio. Il datore di lavoro deve anche
contribuire 5% dello stipendio per il Fondo
Nazionale per l’Alloggio dei Lavoratori (INFONAVIT)
e il 2% a favore dei risparmi pensionistici
che vengono depositati in un conto gestito
da un'associazione di fondi pensione.
MB: questi contributi sono pagati interamente
dalle aziende?
CdB:
La sicurezza sociale in Messico viene pagata
quasi interamente dal datore di lavoro. C'è
una percentuale modesta a carico del
lavoratore, che ha a che fare con le
assicurazioni per malattia e maternità.
MB: a grosso modo, qual è la percentuale
aggiuntiva che il datore di lavoro deve
pagare oltre lo stipendio base del
dipendente?
CdB:
Se non ci sono altre prestazioni e ci
limitiamo esclusivamente a quanto è previsto
dalla legge, penso che stiamo parlando di
una quantità tra il 30% e il 50%, a seconda
del grado di rischio dell'impresa.
MB: nel novembre 2012 la Legge
Federale del Lavoro è stata
modificata. Cosa è
cambiato?
CdB:
Farò riferimento alle modifiche più
importanti. In termini di relazioni
individuali, è stato incluso il cosiddetto
“periodo di prova”, che è, senza dubbio, uno
dei cambiamenti più rilevanti. Può durare da
1 a 6 mesi come “prova pura” o percorso
formativo e, una volta stabilito, non può
essere sospeso in anticipo. Le aziende con
50 o più lavoratori sono tenute ad avere una
Commissione di Formazione per valutare
coloro che sono stati assunti con questo
sistema. Non è chiaro, tuttavia, se il
parere di questa commissione è vincolante
per le società.
Un'altra modifica riguarda la famosa
“esternalizzazione” (outsourcing), a
cui la legge si riferisce con il termine
“subappalto” (trabajo en régimen de
subcontratación). In questo caso, stiamo
ancora aspettando dalle Commissioni di
Conciliazione e Arbitrato l'interpretazione
dei nuovi articoli 15 a), b), c) e d).
Anche se il progetto originale della legge
prevedeva una liberalizzazione quasi
completa dell'“esternalizzazione”, la
versione che è stata approvata è, a mio
parere, abbastanza soddisfacente, dato
comprende una serie di filtri, che sono
precisamente quelli che oggi stanno dando
luogo alle interpretazioni. Le aziende, ad
esempio, non possono cedere tutti i posti
per evitare di pagare la partecipazione agli
utili, e le società di servizi di
outsourcing devono avere un qualche tipo di
competenza. Il terzo filtro non permette che
lavoratori che svolgono la stessa funzione
siano impiegati all'interno e all'esterno
dell'azienda.
Sempre nel campo dei rapporti dell'azienda
con i singoli lavoratori, sono stati
limitati a 12 mesi di salario gli stipendi
dovuti all'impiegato quando viene licenziato
ingiustamente, a condizione che la sentenza
lo favorisca.
Nel campo delle relazioni collettive
è stato fatto uno sforzo per aumentare la
trasparenza dei sindacati, ma le cose non
sono cambiate di molto. Ad esempio, una
pratica comune è l'uso di un “contratto di
protezione”,
in cui il datore di lavoro firma un accordo
con un sindacato “amico”
che stabilisce che quest'ultimo
rappresenterà gli interessi dei lavoratori
dell'azienda —molte volte questo succede
quando la società non ha ancora nemmeno
iniziato la fase di assunzione— che dovranno,
a loro volta, firmare un'adesione a
un'organizzazione che non conoscono e che,
probabilmente, non conosceranno mai, ma che
potrebbe lasciarli
senza lavoro, per
mezzo di una “clausola
di esclusione”,
se provocano disagi all'azienda, o al
sindacato stesso, come quando si mettono
alla ricerca di un vera associazione di
lavoratori. Queste procedure non sono state
limitate dalle riforme del 2012.
MB: l'approvazione delle recenti riforme ha
suscitato l'interesse internazionale per
investire in questo Paese. Il quadro
giuridico messicano in materia di leggi sul
lavoro è adatto a questa situazione?
CdB:
Il costo del lavoro è, di solito, molto
basso in Messico, ma il numero di denunce è
alto ed abbiamo Commissioni di Conciliazione
e Arbitrato che dipendono dal potere
esecutivo. Non fanno parte della
magistratura, per cui quando i governi hanno
interessi nelle controversie di lavoro,
queste istituzioni tendono ad ubbidire gli
ordini dei loro superiori.
Questo provoca una distorsione evidente,
aggravata da un sistema di processi
lunghissimi, con rischi e costi elevati e,
anche se —come abbiamo già osservato— i
salari arretrati sono ora limitati ad un
anno, le procedure durano spesso molto più a
lungo. Da questo punto di vista, il nostro
sistema legale è evidentemente inadeguato a
questa nuova proiezione internazionale del
Messico, ma il costo del lavoro, compreso
quello dei conflitti giurisdizionali, rimane
generalmente basso.
MB: anche il tasso di disoccupazione in Messico è
relativamente basso, ma la percentuale di
lavoro informale è elevatissima. Si tratta
di un problema dovuto al quadro giuridico o
alla mancanza di supervisione?
CdB:
Si tratta di mancanza di Stato. Si fa un
gran parlare recentemente —con il problema
della violenza— di Stato fallito. Ovviamente
è duro riferirsi agli omicidi, ai sequestri
di persona, al traffico di droga, ecc., ma
l'informalità è illegale e, anche se è più
bello dire “lavoro informale” che “lavoro
nero”, il lavoro informale è quello che non
rispetta le formalità di legge e, quindi, è
lavoro illegale.
Ci sarà sempre un certo livello di
informalità in qualsiasi Paese, ma i tassi
di oggi —riconosciuti dall'INEGI— superiori
al 50% significano che le autorità non sono
riuscite a regolare correttamente il
cosiddetto "mercato del lavoro". A mio
parere è un chiaro segno di debolezza dello
Stato e un errore di strategia basato sul
preferire l'occupazione informale alla
disoccupazione.
MB: in Messico è più facile difendere un'azienda
o un lavoratore?
CdB:
Teoricamente è più facile difendere un
lavoratore, in quanto vi è un procedimento a
tutela per tali scopi, secondo il quale il
dipendente non deve dimostrare praticamente
nulla: ciò che dice è vero, a meno che il
datore di lavoro dimostri il contrario.
Tuttavia, in base alla mia esperienza —mi
occupo di casi da entrambe le parti— posso
dire che è molto più semplice difendere il
datore di lavoro. Esistono situazioni
paradossali: in un processo tipico, un
lavoratore esige diverse cose, come —ad
esempio, il ritorno al posto di lavoro,
salari arretrati, straordinari e, magari,
cinque giorni di tredicesima che non gli
sono stati pagati. Alla fine del caso,
quando il datore di lavoro è assolto da
tutti i reclami, fatta eccezione per i 5
giorni di tredicesima, il risultato formale
è calcolato a fini statistici come una
vittoria del lavoratore. In termini reali ,
tuttavia, se parliamo di reinstallazioni o
indennizzo per licenziamento ingiusto, credo
che i datori di lavoro vincano oltre il 90%
dei processi contro i loro dipendenti.
(massimo barzizza
/ puntodincontro.mx)
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