L’Aquila, Città del Sole
La città ideale, ricostruita dalle rovine del terremoto.
Di Sandro Cordeschi.

3 settembre 2009. - Poche righe per spiegare ciò che NON sono e perché mi permetto il lusso di rimetterci la faccia (o, almeno, quello che ne rimane). Non sono un politico, un architetto, un “urbanista”, un economista, un “esperto”, un ingegnere della protezione civile. Non sono neppure un giornalista, né uno storico, né un vigile del fuoco, né un “palazzinaro” di bassa o alta (ma ce ne sono?) lega. Non ho nulla da guadagnare, ma neppure, una volta tanto, da perdere. Non difendo alcun interesse, se non quello ad una vita che conservi i segni di qualche forma di bellezza, magari più per mio figlio che per me.

Consideratemi, se vi va, un sognatore ignorante, che di mestiere elabora utopie: mi hanno insegnato, ma forse ho capito male, che il sogno e l’utopia si trovano alla base di ogni realizzazione compiutamente umana; che possono essere un utile strumento di interpretazione, addirittura di costruzione, della realtà. D’altra parte, i primi sistemi politici, sociali ed economici furono elaborati da pensatori e filosofi; perfino colui (o coloro) che per primo tentò di domare il fuoco lo fece sotto la spinta della necessità, e del sogno. E Platone, Aristotele, Dante, Tommaso Moro, Campanella, Bruno… non mi sembrano dei mentecatti. Con loro, Vico, Fichte, Hegel, Croce, Gentile, Marx, Gramsci, Ivan Ilic, Ezra Pound, Popper…devo continuare? Sognatori. Soltanto sognatori?

Mettiamola così: è la mia festa e voglio regalarmi il rischio (a puntate) di un’idea di Città. Perché, se nessuno dei Sapienti osa, allora il rischio appartiene ai funamboli. Prima di sputarmi addosso, fatevi una passeggiata con me sulla corda tesa, per esempio, dalla Torre di Palazzo a Collemaggio, da Collemaggio al Mondo. Lo so che già altri l’hanno fatto, magari a cavallo di un asino. Lo so che già altri sono caduti. Stavolta tocca a me. Però non posso fare a meno di credere che ora sia un momento chiave della nostra storia e del nostro futuro, come i momenti di crisi profonda possono essere, e di richiamare alla mente le parole di Montaigne, che notava come spesso le “traversìe” possano essere trasformate in “opportunità”.

Che ne facciamo allora di un luogo urbano che una volta, sembra una vita, era un borgo ameno e interessante e che la terra ha voluto saggiare nelle sue basi, scoprendole tremanti? Qual è la lezione, che coinvolge il passato ed il futuro?

Prima di tutto, non dimenticare: non dimenticare quante volte abbiamo ironizzato, urlato, combattuto controvento a causa di situazioni che ritenevamo paradossali, inaccettabili, ingiuste, vergognose. Situazioni che anche questo nostro agitato presente non manca di riproporci, quasi come una nemesi che nessuno di noi, di noi dico davvero “cittadini”, sente di meritare. Non dimenticare e ricominciare, quindi, imparando dagli errori: e non mi riferisco solo alla presunte “case di sabbia”, che poi chissà se di sabbia erano davvero, o di responsabilità ancora da chiarire, che riguardano comunque solo qualcuno, non la “società civile”, che però del tutto immune da colpe non era e non è. Aquila aveva già bisogno di una nuova origine, anche se nessuno poteva ipotizzare e desiderare un risveglio così brutale e oltraggioso. Però la decadenza c’era già, quante volte si è detto, nelle piazze, nelle scuole, nelle chiese e nei bar.

Allora, per tutti quelli per i quali la “newtown” è solo una parolaccia alla moda e le subitanee C.A.S.E., con la loro claustrofobica struttura e la loro forma “loculare”, non possono essere più che un alloggio temporaneo motivato dalla disperazione, è chiaro che il Centro Storico non può essere cancellato, né ridotto a museo o a luogo di macabro sollazzo per turisti inconsapevoli o sciacalli a caccia di sensazioni forti. Però, qui bisogna fare davvero presto, perché se è vero che il Tempo rende fascinose le rovine, è anche vero che rapidamente trasforma in macerie anche i più luminosi segni del passaggio dell’uomo sulla terra. Intervenire in fretta sul centro storico, senza trascurare le necessità dell’emergenza, dovrebbe essere una priorità.

È necessario prima di tutto capire quale potrà essere il destino della città antica, rinsaldare ciò che può essere rinsaldato, ricostruire nelle situazioni in cui è possibile consentendo un progressivo ripopolamento delle aeree meno colpite, togliere di mezzo ogni edificio che non meriti, sia per la sua originaria identità, sia per le condizioni attuali, di essere salvato. In fondo, il terremoto permette agli esperti di fare una selezione razionale e durevole. Va stimolata la ripresa, ove possibile, delle attività commerciali del centro, cercando di proporre un modello di sviluppo che tenga conto in modo prioritario delle caratteristiche del tessuto urbanistico e culturale. Questo non significa creare un mercato diffuso del prodotto tipico, ma stimolare un’iniziativa commerciale non svincolata dal rapporto con la conoscenza e la valorizzazione della storia e della cultura della città. Un felice slogan coniato per un piccolo negozio “gourmet”, che ora non c’è più, recitava “gastronomia è cultura”.

Sarebbe bene considerare quanta fortuna ha avuto questo connubio nelle città e nei borghi, per esempio, della Toscana o dell’Umbria. Il legame potrebbe essere rafforzato individuando ed attrezzando spazi, sempre all’interno del centro storico, per quelle associazioni culturali che, nel recente passato, si siano dimostrate attive e propositive: mi viene in mente, in primo luogo, il Museo Sperimentale di Arte Contemporanea diretto dall’arch. Enrico Sconci, a cui andrebbe riconosciuto un ruolo fondamentale per l’enorme lavoro di aggregazione di energie creative che ha svolto in 25 anni, anche al di fuori delle paludi istituzionali e burocratiche. Studi professionali ed attività di ristorazione possono inserirsi armoniosamente in uno schema siffatto.

Inevitabile, a questo punto, la scelta, da anni effettuata nelle città d’arte, della chiusura totale al traffico automobilistico per la maggior parte delle zone del centro, con l’esclusione, attentamente verificata, dei residenti, che comunque per necessità si ridurrebbero di numero, mentre potrebbe trovare spazio quella forma di ospitalità turistica di stampo familiare nota come “albergo diffuso”.

Niente di scandaloso: è avvenuto a Siena, ad Arezzo, a Cortona, a Perugia, non certo città-fantasma. Non abbiamo bisogno, credo, di una città-dormitorio, né di una città-“rave”.

I locali notturni potrebbero trovare valida e più sicura collocazione ai margini della città storica, senza pregiudizio per i profitti e con miglioramento delle condizioni di vita dei residenti. Anche le scuole, di ogni ordine e grado, e la maggior parte degli uffici dovrebbero essere ricostruiti nell’immediata periferia, naturalmente in strutture non monumentali, ma certamente antisismiche, e tenere conto delle esigenze, anche di trasporto, del pubblico. Aquila, in fondo, si percorre a piedi, nella zona storica, dalle 99 Cannelle a Collemaggio, in meno di un’ora ad andatura misurata.
 


Anche in bicicletta, lo so per esperienza, ci si può muovere agilmente in molte delle vie antiche. Esiste inoltre l’alternativa degli autobus elettrici, praticata con successo in molte città. La metropolitana? Il sisma ha detto l’ultima parola.

La valorizzazione degli spazi verdi e il controllo sul loro uso, già timidamente proposti dall’ultima amministrazione comunale, dovrebbe divenire un impegno costante. Impeccabile dovrebbero essere la manutenzione ordinaria e la pulizia della città, con l’invito, rivolto ai cittadini e alle associazioni, a segnalare gli interventi necessari o a provvedere di persona quando sia possibile. Si potrebbe pensare alla creazione di cartelli precisi e di gradevole aspetto, che illustrino non soltanto le caratteristiche storiche dei diversi luoghi, ma anche i possibili motivi poco evidenti del loro fascino: sul sito turistico del Governo Italia.it sono descritti alcuni itinerari che potrebbero essere evidenziati e resi noti ai visitatori.

 

(FINE prima puntata)

Sandro Cordeschi, aquilano