Dopo l’apocalisse
I forzati della villeggiatura. Di Emanuela Medoro.

14 maggio 2009. - Arrivai all'hotel che attualmente mi ospita con generosa cortesia in una serata di fine aprile grigia e piovosa, bagnata e cieca di panorami. La depressione post apocalisse sembrava farsi più densa, quando una camera confortevole, dai distensivi colori beige rosati mi tirò su il morale, ed ancora contribuì a questo la possibilità di pasti con larghe porzioni di verdure assortite.

La mattina successiva, quando fu luce ed il sole ricreò il suo rasserenante spettacolo verde e blu, finalmente capii di essere in una specie di villeggiatura estiva. E qui incominciò un' esperienza nuova, un soggiorno confortevolissimo privo delle sofferenze fisiche del caldo, del freddo, della difficoltà di avere un po' di indispensabile privacy, che stanno sperimentando gli sventurati delle tende.

Ebbene sì, è un'esperienza nuova, un soggiorno di durata ignota, infatti nessuno di noi sa, neppure approssimativamente la data del ritorno a casa, inoltre è un soggiorno non scelto liberamente, e vissuto in assenza totale di riferimenti con la città di residenza, cioè con le attività, le persone ed i luoghi del vivere quotidiano.

Il primo problema è stato quello di riorganizzarsi un sistema di vita soddisfacente, nonostante tutto, ovvero ho dovuto inventarmi delle occupazioni per passare le lunghissime giornate di maggio. Giornali, un computer ed una bicicletta sono utilissimi per questo scopo. Poi ho notato che il primo effetto della diaspora forzata è la voglia forte di ritrovarsi, la gioia di incontrare facce note in luoghi diversi. Quindi visite, telefonate, vecchie amicizie ritrovate e nuove nate nella narrazione e condivisione del vissuto di quei momenti d'orrore, indelebili nella memoria di tutti.

Un bel momento d'incontro e di forte solidarietà cittadina è stata l'assemblea tenuta ad Alba Adriatica dalla Presidente della Provincia Stefania Pezzopane e dall' On. Lolli per la popolazione dell' Aquila ospite degli hotel della costa. Indimenticabile l'applauso fragoroso, di tutti, senza riserve, per l'operato dei Vigili del Fuoco accorsi da tutta Italia che hanno rischiato la vita fra le macerie per salvare vite umane. Parimenti sentiti i ringraziamenti per le popolazioni della costa, sindaci ed autorità che si sono prodigati in tutti i modi per ricevere l'improvviso fiume di gente spaventata e bisognosa di tutto.

Ho sentito molto l'appello alla necessità di sentirsi aquilani, come sentimento base collante di un popolo, necessario ad evitare un'altra diaspora, e questa sì sarebbe veramente pericolosa, la dislocazione di attività economiche vitali, esistenti nella fitta e variegata trama del tessuto sociale del centro storico della città, parzialmente, non interamente, distrutto. Quando sono tornata nella zona dove abito, il cui centro è segnato dal Torrione, ora mestamente privato di un suo pezzo, ed ancora circondato dalle sue macerie, ho visto desolatamente vuoto l'incrocio solitamente affollato e trafficato; mi ha colpito il benzinaio che ha riaperto la sua attività e che se ne stava lì, solo ed inattivo. Così, il serbatoio della mia macchina che era mezzo pieno è diventato improvvisamente mezzo vuoto, e lì, subito, l'ho fatto riempire.

Da professoressa d'inglese in pensione, mi viene qualche bella citazione letteraria, che sembra dipingere bene la desolazione della nostra città morta.

Il primo verso dell'opera più nota di Thomas Sterne Eliot, The Waste Land (La Terra Desolata), è: April is the cruellest month (Aprile è il mese più crudele), titolo e verso assai misteriosi, che acquistano un significato fortemente simbolico nel contesto di un poemetto, la cui prima parte è intitolata The Burial of the Dead (La Sepoltura dei Morti).

Nel nostro caso non è necessario vedere significati simbolici, è semplicemente reale, vero, che questo aprile, in una notte chiara e tiepida, è stato per noi il più crudele dei mesi ed ha fatto del territorio dell'Aquila una terra desolata, con tanti morti.

C'è da augurarsi che la desolazione non duri molto e dobbiamo sforzarci di pensare e credere che rifaremo la nostra città più grande e più bella di prima, nonostante tutto. Credere questo comunque appare sempre di più un atto di fede molto forte, infatti chiaramente si insinua il dubbio sulla effettiva disponibilità delle somme necessarie per la ricostruzione, e l'idea di riavere la casa di prima abitazione in tempi lunghissimi, ed a costo di debiti insostenibili, certamente non aiuta a vivere bene. E le seconde case, quelle frutto dei sacrifici della vita dei nostri genitori, pare che saranno veramente solo macerie e polvere. Che beffa del destino!

 

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