Il culto di San Gabriele, patrono d’Abruzzo, tra gli emigranti
Per il centenario della beatificazione del Santo Passionista un convegno
storico-teologico e un musical. Di Goffredo Palmerini.

24 novembre 2008. - Diverse iniziative hanno messo in cantiere i Padri Passionisti per la ricorrenza del centenario della beatificazione di San Gabriele dell’Addolorata, proclamato Patrono d’Abruzzo da papa Giovanni XXIII nel 1959.

Dal mese di maggio una serie di eventi religiosi e culturali si è dispiegata al Santuario di San Gabriele, nei pressi di Isola del Gran Sasso, in Abruzzo, dove è custodito il corpo del giovane Santo qui passato alla gloria del cielo il 27 febbraio 1862 e subito entrato nel cuore di tutti gli Abruzzesi. Il 12 e 13 novembre, coordinato dal passionista Tito Paolo Zecca, docente alla Pontificia Università Lateranense, si è tenuto il IV Colloquio “San Gabriele ed il suo tempo”, che ha visto la partecipazione di numerosi storici, teologi e studiosi. La sezione storica dell’importante Convegno ha indagato a fondo i primi anni dell’Italia unificata ed i difficili rapporti tra Stato e Chiesa, dalla questione romana affrontata dallo storico Roberto De Mattei, vice presidente del CNR, alla questione meridionale trattata da Massimo Viglione, docente dell’Università Europea di Roma, con una relazione molto interessante sul Regno delle Due Sicilie sotto Ferdinando II – il più antico d’Italia, risalente con gli Altavilla e i Normanni all’inizio del secondo millennio - sovente dipinto con tratti negativi ed invece assai avanzato in molti settori, dalla marina alla cultura, dai servizi sociali allo sviluppo delle infrastrutture, come strade e ferrovie.

Altri aspetti della storia locale abruzzese dell’Ottocento sono stati esposti da Silvio Di Eleonora, mentre Tarcisio Turriti e Claudio Verducci hanno analizzato alcuni aspetti storici sulla vita e sul culto del Santo. Attenzione anche alla storia dell’arte con Nicola Petrone, poi da Elisa Amorosi della Soprintendenza PSAE dell’Aquila e dal restauratore Corrado Anelli, che hanno illustrato la serie di affreschi sulla vita di San Francesco rinvenuta nell’antico convento e di recente restaurata. Molto curata, nella sessione pomeridiana del 12 novembre, la sezione pastorale, trattata da mons. Domenico Segalini, Gabriele Orsini e Giuseppe Comparelli, rispettivamente sulla proponibilità di San Gabriele nel contesto della pastorale giovanile e sul culto del Santo in alcune regioni italiane. Ricca la sezione teologica tenuta nella sessione antimeridiana del 13, con relazioni di illustri accademici quali Antonio Artola Arbiza, Alberto Valentini, Carlo Maria Baldini, Giovanni Di Giannatale e Tito Paolo Zecca su vari aspetti teologici analizzati sulla vita del Santo e sulla morale presente nei suoi scritti, come pure risultanti dall’agiografia e dalla storia critica. Nel pomeriggio sono stati affrontati gli aspetti pastorali, affidati a Goffredo Palmerini, Domenico Lanci e Pierino Di Eugenio, rispettivamente sul culto di san Gabriele tra gli emigrati, sulla devozione verso il Santo nei canti popolari abruzzesi, sul ruolo dell’ECO di san Gabriele, il mensile dei Passionisti molto diffuso in Italia ed all’estero, in 130 mila copie. Interessanti e cospicue le relazioni sui temi del Convegno, anche se è impensabile mortificarle nell’angustia d’un articolo. Esse, peraltro, formeranno oggetto di pubblicazione negli Atti del IV Colloquio.

Si diceva che a chi scrive è stata affidata la relazione riguardante “Il culto di San Gabriele tra gli emigranti d’Italia e d’Abruzzo”. Di essa potrebbe risultare d’interesse la parte specifica, affrancando il lettore dalla ricognizione storica sul fenomeno migratorio e sull’associazionismo degli italiani all’estero, se non per il ruolo che le associazioni hanno svolto nella conservazione della religiosità popolare delle regioni di provenienza trapiantata in ogni angolo del mondo. L’opera di straordinario valore sociale svolta dai religiosi italiani - scalabriniani, francescani, salesiani, gesuiti ed altri - che seguirono i migranti, con il grande merito di fornire loro i servizi spirituali, ma anche d’accompagnarli senza forti traumi nell’inserimento e nell’integrazione nelle nuove terre, ha consentito alle nostre comunità all’estero di trovare nelle chiese e negli oratori un luogo di sostegno, solidarietà e d’aiuto morale per superare i difficili salti di cultura e di convenzioni sociali nei Paesi d’emigrazione, come pure un’ulteriore opportunità di ritrovarsi, nella fede, con la propria comunità nazionale. La fede cattolica e la pratica religiosa per i nostri emigrati sono state il primo importante supporto allo loro identità. Essi sono arrivati nei Paesi d’emigrazione talvolta con palesi carenze conoscitive della fede cristiana - molto è cambiato dopo il Concilio Vaticano II - ma con una notevole carica d’espressività spirituale ed uno spiccato senso della festa religiosa, tanto che numerose associazioni sono state costituite portando il nome del Santo del paese o della regione di provenienza. Basti ad esempio citare il caso australiano, dove sono circa 150 le feste religiose gestite da altrettante associazioni in ogni angolo del continente oceanico, riflettendo per lo più storie e culture tipiche del meridione d’Italia. A distanza di anni, queste feste religiose continuano a conservare una notevole vitalità. Ma veniamo al caso abruzzese.

Il sistema associativo ha contribuito a mantenere salda la religiosità originaria, specie riguardo alle forme. Tanto che, nel corso del Novecento, afferma Lia Giancristofaro in un suo interessante saggio sugli abruzzesi all’estero, pubblicato di recente dalla Regione Abruzzo, “… alla venerazione per i santi ed i santuari della madrepatria si è affiancata la progressiva riproposizione di essi nei luoghi d’immigrazione (…) come si evidenzia in occasione della cerimonialità delle feste patronali, che presso le comunità estere si tengono nelle stesse modalità del luogo d’origine, mediante l’uso d’una statua costruita sul modello di quella del paese”. E’ davvero così, nel riscontro effettivo presso le comunità all’estero, abruzzesi in particolare, orgogliose di coltivare la religiosità secondo costumi, ritualità e tradizioni regionali, come segno distintivo delle proprie radici e della propria cultura. La citazione dal saggio di Lia Giancristofaro apre questa mia riflessione sul culto di san Gabriele, come lo vivono all’estero le comunità italiane ed abruzzesi in particolare. Una riflessione, la mia, che non si basa su studi e ricerche di natura antropologica e sociologica. Si fonda, invece, su quanto conosciuto con la diretta constatazione in loco delle abitudini spirituali e delle forme di religiosità, riscontrate nel corso d’una consuetudine di relazioni con le comunità italiane, e sopra tutto abruzzesi, dal nord al sud America, dall’Africa all’Australia, a quelle in Europa. Credo si possa fornire così conferma che tra i caratteri dell’identità nazionale e regionale un cospicuo rilievo l’assume la religiosità conservata dagli emigrati, vissuta con riti e devozioni, riferibili anzitutto al culto dei santi protettori e della Vergine Maria, sovente riprodotti nelle stesse forme espressive dei luoghi di provenienza.

Peraltro, appena si esce dalle devozioni “domestiche”, retaggio dei paesi e delle tradizioni di provenienza, sarebbe persino possibile stilare una graduatoria dei santi più venerati dalle varie comunità regionali, anche se un tale esercizio potrebbe scadere in curiosità poco rispettose della santità. Ma l’annotazione è utile per confermare la grande e diffusa “popolarità” di san Gabriele dell’Addolorata tra le comunità italiane all’estero. In molti casi ne ho avuto testimonianza. Anzi, appena appresa la mia provenienza dall’Abruzzo, frequenti sono stati i riferimenti al Santo ed al suo Santuario, per ricordare con soddisfazione d’avervi fatto visita in ogni ritorno in Patria, o per esprimere il desiderio di provvedervi in un futuro non lontano. Molto forte è il desiderio di visitare il Santo in Abruzzo, specie tra le comunità più lontane, come in Australia, o in quei Paesi dell’America Latina, specie in Argentina, che non solo la lontananza, ma anche gli andamenti spesso difficili delle loro economie, non hanno consentito periodici rientri in Italia. La crescita costante della devozione verso san Gabriele tra le comunità italiane, oltre alle ragioni intime della spiritualità personale, è sostenuta dalla sempre più ampia diffusione dell’Eco, il mensile molto apprezzato tra gli italiani all’estero per la qualità dei contenuti come per il richiamo agli aspetti devozionali ed alle attività del Santuario. E tuttavia tanta parte della crescente devozione al Santo credo la si debba accreditare proprio al ruolo degli Abruzzesi all’estero, al loro modo di vivere le relazioni non chiudendosi nella cerchia regionale, ma coinvolgendo le altre comunità italiane grazie all’efficiente sistema associativo, all’avanguardia rispetto alle altre regioni. La comunità abruzzese nel mondo sente davvero fortemente la devozione verso il Santo Patrono d’Abruzzo. E’ uno dei cardini su cui si fonda l’identità regionale, connotata da una solida coesione delle comunità abruzzesi all’estero ed appunto dal culto condiviso verso san Gabriele. E’ per certi versi inspiegabile come questo giovane passionista, arrivato nel 1859 nel convento alle falde del Gran Sasso e restatovi appena due anni e mezzo fino alla sua morte, il 27 febbraio del 1862, abbia immediatamente conquistato con la sua santità fresca e sorridente il cuore dei fedeli, specie degli abruzzesi, che per generazioni hanno raggiunto il Santuario in pellegrinaggio, talvolta a piedi e da luoghi assai distanti, per pregare vicino alle sue spoglie. Resta il fatto che gli abruzzesi, dovunque risiedano nel mondo, san Gabriele se lo sentono accanto e nel cuore, e ne sono orgogliosi.

La devozione è declinata in modi differenti, che si tratti di emigrati nei Paesi europei e diversamente da quelli d’oltreoceano. Se, infatti, per i residenti in Europa è usuale tornare nella propria regione una volta l’anno, solitamente d’estate per un periodo più o meno lungo, e far visita al Santuario come meta ambita, diverso è il caso delle comunità abruzzesi nei paesi extraeuropei che più di rado hanno questa possibilità, se non addirittura assai difficilmente. Questa forse la ragione del culto verso san Gabriele riproposto nei luoghi d’emigrazione extraeuropei appunto con quelle forme a volte esattamente simili, per iconografia e ritualità, alle festività dei luoghi di provenienza. Riti e feste assumono allora forme diverse a seconda della distanza dall’Abruzzo, più comunitarie nei paesi extraeuropei, più ristrette e personali per i residenti in Europa. Molto forte, per esempio, è la devozione verso san Gabriele in Canada, specie dove sono numerosi gli abruzzesi, come a Toronto, Montreal, Hamilton e Ottawa. D’un caso sono testimone. Nella capitale canadese risiede una comunità italiana di quasi trentamila persone, per un terzo abruzzese. Da anni il Centro Abruzzese Canadese di Ottawa, associazione molto attiva e trainante rispetto alle altre regioni, promuove la festività di san Gabriele, in agosto o settembre d’ogni anno. Un’organizzazione perfetta provvede a farne un evento religioso che riguarda l’intera comunità italiana di Ottawa e si svolge nel quartiere della “little Italy”, dove ha sede la chiesa italiana di Sant’Antonio.

Fino a qualche anno fa la festa estiva dedicata al Santo, un’intera giornata, iniziava con la Messa seguita da una breve processione intorno alla chiesa recante l’immagine del santo, riprodotta su un quadro. Poi una grande agape all’aperto tratteneva gli intervenuti. Eppure - mi confidava Nello Scipioni, presidente del Centro Abruzzese Canadese - quella non era ancora la festa che gli Abruzzesi sognavano. Tanto che quello stesso anno, tornato in Abruzzo, si recò al Santuario per acquistare una statua del Santo identica al San Gabriele del Santuario in Abruzzo, secondo il desiderio della comunità regionale in Canada. L’anno successivo la celebrazione della festività vide triplicare le presenze, quasi cinquemila gli italiani partecipanti ai riti, con una lunga processione nel quartiere italiano riprodotta come se fosse in Abruzzo, con la banda delle Giubbe Rosse e persino con due carabinieri in alta uniforme. Poi la grande festa comunitaria nel quartiere italiano, con la gastronomia tipica abruzzese. E’ solo un esempio di quanto gli aspetti tradizionali della religiosità popolare siano sentiti dagli emigrati e siano lo specchio d’un legame profondo al patrimonio culturale delle proprie radici. Altro e diverso è il discorso sulla fede, anche se in occasione di tali festività l’attenzione verso il prossimo s’esprime con opere di carità, che della fede sono uno dei cardini, come san Paolo richiama nella sua prima lettera ai Corinzi.

Immagini del genere sono consuete più o meno in tutto il mondo. Situazioni analoghe, infatti, riguardano molti Paesi, come per esempio l’Australia, dove il Santo Patrono degli Abruzzesi gode d’una devozione molto diffusa ed è venerato in più parti, da Brisbane a Perth, da Adelaide a Melbourne. Ma emblematico è il caso riscontrato nell’area di Sydney, dove ben tre chiese dedicate a san Gabriele sono sorte per iniziativa degli emigrati, specie originari della provincia di Teramo, a testimonianza della grande devozione che gli abruzzesi nutrono verso il loro Santo Patrono. A Santiago del Cile da ormai vent’anni si fa una grande festa a san Gabriele, organizzata dalla comunità abruzzese, alla quale ormai partecipa tutta la comunità italiana. Si deve all’iniziativa d’un abruzzese illustre la nascita della festa al Santo, diventata poi una tradizione. Fu mons. Orlando Antonini, ora Nunzio apostolico in Paraguay, ma allora Segretario presso la Nunziatura in Cile guidata all’epoca da mons. Angelo Sodano – poi nominato Cardinale e Segretario di Stato da Giovanni Paolo II - a stimolare gli Abruzzesi perché degnamente onorassero il loro Santo Patrono. Di anno in anno la festa è cresciuta sotto ogni aspetto con l’impegno dell’associazione abruzzese, ma è diventato un grande evento per tutti gli italiani di Santiago e dintorni. Altrettante testimonianze si hanno dal Brasile, dal Venezuela, dall’Uruguay, dagli Stati Uniti, ma sarebbe lungo parlarne in questa occasione. Resta solo un aspetto da valutare. Quale iniziativa si possa mettere in campo perché il “Santo dei giovani” possa meglio raggiungere le nuove generazioni italiane all’estero, interessando le loro coscienze di ragazzi del nostro tempo sui temi della fede e dell’impegno cristiano sui grandi problemi dell’umanità. Le nuove generazioni, infatti, sui temi della religiosità e sulle modalità espressive in cui è ancora vissuta dalle generazioni precedenti, rischiano un distacco culturale incolmabile. Già dal 2009, nel Cinquantenario della proclamazione di san Gabriele Patrono d’Abruzzo, nuove forme di religiosità - come l’annuale Tendopoli al Santuario - potrebbero magari riguardare i giovani d’origine italiana all’estero, aprendo opportunità spirituali che attraverso san Gabriele possano rinforzare il legame tra i giovani italiani d’ogni continente, in un colloquio fecondo d’esperienze.

In tale direzione non è secondario l’aspetto artistico e spettacolare, con espressioni capaci di parlare più propriamente alle giovani generazioni. Come, per l’appunto, ha fatto Carlo Tedeschi, noto autore e regista teatrale, con un musical sulla vita del Santo “Gabriele dell’Addolorata”, del quale egli cura la regia, con musiche di Stefano Natale e Andrea Tosi, curatori anche dei testi con Vassilly Pasini, Giuseppe D’Amato, Giancarlo De Matteis, Roberto Monastero e Leo Militello. Il musical, con le coregrafie di Gianluca Raponi e le scenografie di Mauro Frascati, è stato promosso dalla Fondazione Leo Amici di Monte Colombo (Rimini) e prodotto dall’Associazione Dare, in collaborazione con il Santuario di san Gabriele. Un ottimo cast d’interpreti (Emanuele Tedeschi, Raffaele Centorbi, Selene Morello, Mirko Occhipinti, Deno Bonopera, Maya Manenti e Ana Maria da Cruz dos Santos) completa il brillante risultato dell’opera, presentata dal regista nei suoi tratti essenziali in una comunicazione del citato IV Colloquio. Carlo Tedeschi ha costituito l’Accademia d’arte e teatro “Leo Amici”, che attualmente dirige. Ha dato vita a molte opere umanitarie ed iniziative culturali e artistiche, coinvolgendo numerosi giovani. Autore e regista di numerose opere teatrali e musicali, scrittore, Carlo Tedeschi ha curato diverse pubblicazioni e la direzione artistica di due film documentari, mentre la con sua Compagnia teatrale porta in scena “Alleluia, brava gente”, con Sabrina Ferilli, Massimo Ghini e Rodolfo Laganà. Questo, dunque, un esempio illuminante di come con l’arte possa diffondersi nel mondo giovanile il messaggio spirituale di san Gabriele, non a caso definito il “Santo dei giovani”.

 

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