L’Aquila, Città del Sole
La città ideale, ricostruita dalle rovine del terremoto.

Di Sandro Cordeschi. (Parte Terza).

30 settembre 2009. - La vita mi ha dato in sorte di trascorrere qualche mese a Cambridge, così, senza ufficialità, per una ricerca “freelance” su Shakespeare. Avevo una lettera di presentazione del grande Giorgio Melchiori, qualche aspettativa da sognatore, l’energia e l’indifferenza della giovinezza, e poco altro. Tanto è bastato per avere accesso alle biblioteche e ai servizi dell’Università e di alcuni College, credibilità presso gli impiegati, innumerevoli possibilità di consultare archivi, leggere testi, annotare riferimenti bibliografici, fotocopiare brani essenziali, in un clima di accoglienza e di comprensione davvero sorprendente.

Qualche anno prima, piccolo studente in un grande campus canadese, avevo provato, se si eccettuano le temperature polari, le stesse sensazioni. Pochi mesi erano sufficienti, in quei luoghi, per portare avanti ricerche che, in Italia, avrebbero richiesto anni. Molto meglio di Internet, che tra l’altro ancora non esisteva. L’ambiente, inoltre, era stimolante, anche perché consentiva relazioni e contatti nei molti luoghi frequentati dagli studenti e spingeva alla pratica di diversi sport nelle strutture universitarie, accessibili a cifre non proibitive e organizzate in modo impeccabile, o nei numerosi spazi verdi all’interno o nei dintorni del Campus. A Cambridge, soprattutto nelle ore serali, i giovani del canottaggio affollavano le acque del fiume Cam ed era uno spettacolo vederli vogare ed ascoltare i loro incitamenti.

Conclusa poi la mia multiforme esperienza di studente, ho avuto la fortuna di lavorare per diversi anni, nella nostra città, con ragazzi dell’Università di Miami, che sceglievano L’Aquila per perfezionare la conoscenza della lingua italiana e intanto seguivano corsi di storia della cultura, della letteratura e del teatro. Tutti innamorati della città, sorpresi dalle risorse naturalistiche e culturali del territorio, addirittura entusiasti quando li accompagnavo sull’Aterno in escursioni che l’ambiente selvaggio trasformava in esplorazioni, quando scoprivano che, intorno a quel rigagnolo, c’è più storia che in tutti gli Stati Uniti d’America, quando erano introdotti alla comprensione di metodi di vinificazione antichi e modernissimi, dei quali assaggiavano poi con piacere il risultato.

L’entusiasmo mitigava i disagi dovuti al fatto che non potevano fare vere ricerche in biblioteca, che erano per lo più costretti a studiare su fotocopie preparate dagli insegnanti, che la ricerca di materiale audiovisivo valido, soprattutto in inglese, era talora estenuante. Ricordo che il primo anno arrivarono in tre, l’ultimo (2006) erano più di venti ed a loro si era unita una folta compagnia di ragazzi provenienti da diversi paesi d’Europa. Poi, tutto finì, nonostante gli elogi per il nostro impegno (docenti, impiegati) che da Miami continuavano ad arrivare. Probabilmente, la nostra Università riteneva poco produttivo questo genere di scambio culturale.

Dalla Georgetown University di Washington, la professoressa Laura Benedetti, aquilana, che lì insegna lingua e letteratura italiana, ha continuato a portare all’Aquila ogni estate un gruppo di studenti, grazie alla sua testardaggine e al volontariato dei suoi amici in città. Anche in questo caso, sorpresa, entusiasmo, complimenti, nella più completa indifferenza delle Istituzioni, Università compresa. Il prestigioso Ateneo americano ha una sede, in Italia, a Fiesole ed ogni anno Laura è costretta a resistere agli attacchi e alle lusinghe di coloro che la vorrebbero lì. Il prossimo anno, non sa cosa rispondere a chi gli dice che ormai il discorso L’Aquila è chiuso. Pure, insiste. Ma nessuno sembra rendersi conto di quanto la sua opera sia preziosa, oggi più che mai. Ho raccolto testimonianze anche su altre esperienze del genere, tutte ignorate o quasi a livello “ufficiale” e tutte meritevoli, invece, di attenzione e sostegno, perché è in questo modo che si viene fuori dalla dimensione provinciale, altri mezzi non ci sono.

Bene, mi sono lasciato andare ai ricordi e alle visioni. C’è poco spazio per il mio progetto impossibile di una Università “diversa”. In sintesi, allora: perché mai L’Aquila non potrebbe cercare di offrire un modello di campus unico, in Italia? Con biblioteche efficienti, alloggi “intelligenti” (chi studia non ha bisogno di ville da nababbo, ma neppure può vivere in tuguri, si è capito, no?), impianti sportivi funzionali aperti agli studenti e alla città. Perfino il sogno di vedere pagaiare su qualche tratto dell’Aterno e del Vetoio non sarebbe così assurdo…

Possiamo immaginare un Ateneo che abbia uno stretto rapporto con i cittadini e le associazioni culturali sane e attive, che abbia il coraggio di organizzare e partecipare a manifestazioni culturali “aperte”, con tutti i rischi che questo fatto comporta, che renda possibili e fruibili concerti (non di musica classica, lì siamo ben coperti!), cineforum, attività sportive amatoriali e qualche volta anche di alto livello, che stringa legami con i gruppi teatrali “non ufficiali” (come spesso i professori Taviani e Schino hanno tentato di fare) e con le forze “vive” della gioventù studentesca.

Si dovrebbe creare un gruppo direttivo il più possibile svincolato dai partiti e dai gruppi di pressione, quindi libero di agire per fini sociali ed educativi riconoscibili. Il discorso vale a maggior ragione per le Accademie (Belle Arti, dell’Immagine), che devono fare della creatività e non della istituzionalizzazione politica la loro vera forza trainante.

I collegamenti col territorio dovrebbero essere basati anche su un rapporto “fisico” con la provincia e con la regione: escursioni e visite guidate, se adeguatamente condotte, possono avere un valore pedagogico davvero notevole, per ogni Facoltà o indirizzo (penso, per quanto mi compete, alle risorse storiche e letterarie spesso misconosciute, ma non possiamo certo dimenticare quelle urbanistico-architettoniche, quelle ambientali, geologiche, biologiche, la ricchezza immensa dei nostri Parchi…). Inoltre, si potrebbero proporre esperienze di ricerca “incrociate”, con la partecipazione consapevole degli studiosi locali (un mio studente del Liceo, poi mio amico, per esempio, ha fatto un Dottorato su Amiternum, ma…in Germania). E qui mi fermo, perché qualcuno potrebbe pensare che sono parte in causa, o che sto producendo nuvole di fumo. Vi assicuro che, per ogni argomento trattato, potrei proporre un progetto concreto, più o meno valido, ma da qualche parte si deve pur iniziare. So benissimo che ci sono prezzi da pagare, che bisogna “correre il rischio”. Ma tanto il prof. Di Orio, Magnifico Rettore dell’Università dell’Aquila, quanto il mio amico di gioventù Edoardo Alesse non mi sembrano tipi da tirarsi indietro e forse, in questo momento, potrebbero trovare, insieme agli altri, motivazioni comuni.

Parliamone intanto: senza rancore, per favore, senza disprezzo. Non vi sto dicendo che ho visto la luce: però, insieme a voi, vorrei cercarla.

 

Sandro Cordeschi, aquilano