Le attivita’ dell’Accademia
picena aprutina dei Velati

Risorta dopo quattro secoli, tiene corsi universitari on line, mostre
e convegni nella Badia di Corropoli. di Goffredo Palmerini.

31 ottobre 2008. - La prima accademia di cui si ha notizia nella storia d’Abruzzo è l’Accademia dei Fortunati, nata all’Aquila nel 1579. Tra gli accademici Salvatore Massonio (1559-1629), personaggio di grande rilievo, medico storico e scrittore. Con il nome pastorale di “Avviluppato”, Massonio diede un forte impulso all’Accademia dei Fortunati, della quale fu per sette volte eletto Principe. Altri insigni personalità della cultura e della società aquilana del tempo l’affiancarono, come Amico Agnifili, Flaminio Antonelli, Baldassarre Cappa per citarne solo alcuni. Eppure, appena vent’anni dopo, per incuria ed indifferenza di gran parte dei soci, l’Accademia fu sul punto d’estinguersi. Ma la città viveva in quel periodo un grande fervore intellettuale, specie ad opera della Compagnia di Gesù che vi aveva aperto l’Aquilanum Collegium. Infatti, si deve proprio ad un gesuita, padre Sertorio Caputo – filosofo e matematico, nato nel 1556 a Paterno Calabro e morto in odore di santità nel 1608 all’Aquila, dov’è sepolto in una cappella della chiesa dei Gesuiti – la salvezza dell’accademia, rinnovata e mutata nel nome in Accademia dei Velati nel 1598. La sede dell’istituzione era nello splendido Palazzo del Magistrato - ora municipio del capoluogo regionale - proprio di fonte alla chiesa dei Gesuiti, progettato da Pico Fonticulano e già residenza di madama Margherita d’Austria, figlia naturale di Carlo V e governatrice dell’Abruzzo, donna davvero eccezionale andata sposa ad Ottavio Farnese. Per stemma un’aquila in volo tra le nubi, l’Accademia dei Velati coltivò studi in diversi campi dell’intelletto, dalla filosofia alla matematica, dalla retorica alla filologia, dalla storia alla poetica. Con Sertorio Caputo continuò ad operare Salvatore Massonio, insieme ad Antonio Alferi, Giulio Cesare Benedetti con il nome di Guelfaglione, Muzio Pansa, che per l’Accademia dettarono le regole. L’istituzione operò almeno fino al 1717, fu poi trasformata in Colonia Aternina dei Velati e quindi Colonia Aternina degli Arcadi, con finalità letterarie, per iniziativa di Giuseppe De Benedictis, barone di Scoppito, che ne fu Principe.

Da allora vari mutamenti nel nome e nelle finalità si sono susseguiti, senza peraltro notazioni degne di rilievo. Fin quando, nel 1971, due matematici dell’Università dell’Aquila, i docenti Franco Eugeni e Serafino Patrizio, costituirono il Circolo dei Velati, in ricordo dell’antica Accademia, chiamando a presiederlo il prof. Franco Pellegrino. Fu una vera fucina di iniziative culturali e scientifiche multidisciplinari, nella quale si cimentarono in studi e ricerche molti giovani docenti dell’ateneo aquilano. Sulla solida esperienza maturata con il Circolo, nel 1988 il prof. Franco Eugeni, all’epoca docente all’università di Catania, raccolse intorno ad un ambizioso progetto significative personalità scientifiche, in campo matematico economico ed ingegneristico, dagli atenei abruzzesi (i prof. Ilio Adorisio, Luigia Berardi e Aniello Russo Spena dalla “V. Rivera” dell’Aquila, il prof. Antonio Maturo dalla “G. D’Annunzio” di Chieti) ma anche dalle università di Giessen (prof. Albrecht Beutelspacher), Napoli (prof. Bruno Rizzi), Roma “La Sapienza” (prof. Romano Scozzafava e Mario Gionfriddo) ), Milano Statale (prof. Giovanni Melzi) e Politecnico (prof. Mario Mercanti), fondando l’Accademia Aprutina dei Velati, alla cui presidenza fu chiamato il decano, prof. Ilio Adorisio. Molte le iniziative scientifiche messe in cantiere, compresa la rivista “Ratio mathematica”. Nel 1992, scomparso il prof. Adorisio, il prof. Eugeni venne chiamato alla presidenza dell’Accademia, in seguito arricchitasi con altri insigni associati, come il prof. Bal Khishan Dass (università di Delhi, in India), l’ammiraglio Giovanni Moro, il prof. Gianni Astarita (università di Napoli), il prof. Alessandro Del Bufalo (università dell’Aquila), il prof. Piergiulio Corsini (università di Udine), la prof. Maria Tallini Scafati (università di Roma), e dal 1997 il prof. Ion Tofan (università “Petre Andrei” di Iasi, in Romania).

Nel ‘98, ricorrendo il quarto centenario dalla fondazione dell’antica Accademia dei Velati, nasce l’Accademia Picena Aprutina dei Velati (APAV) alla cui guida è chiamato il prof. Franco Eugeni, instancabile animatore delle attività accademiche fino a tutt’oggi. L’istituzione si dota d’una piattaforma informatica di notevole potenza, per lo sviluppo delle sue attività formative e culturali. Attualmente l’Accademia cura per l’Università di Teramo master telematici seguiti da 800 allievi, mentre in collaborazione con l’università “Petre Andrei” di Iasi ha attivato on line il corso di laurea in Scienze economiche e quello per la laurea specialistica in Management europeo, collegati alla Facoltà di Economia dell’ateneo romeno. Nell’ultimo decennio notevole è lo sviluppo delle attività dell’Accademia, nel frattempo insediatasi nella splendida Badia di S. Maria di Mejulano, a Corropoli, cittadina in provincia di Teramo. Situata sulla sommità d’un colle, la Badia domina sul mutevole paesaggio delle colline teramane coltivate a vite, per la produzione di pregevoli vini Montepulciano d’Abruzzo. Costruita dai Benedettini all’inizio del secondo millennio sui resti d’un tempio pagano preesistente, nelle ampie stanze dell’abbazia destinate a scriptorium operarono eccellenti miniaturisti. Alla fine del Quattrocento la Badia fu ceduta ai Celestini, su richiesta del Duca di Atri e signore di Corropoli, Andrea Matteo III degli Acquaviva. Rimase abbazia celestiniana fino al 1805, quando con le leggi di soppressione degli ordini religiosi emanate da Napoleone, il monastero fu ceduto a privati. E’ diventata di proprietà pubblica, della Provincia di Teramo, solo negli anni Trenta del secolo scorso. Restaurata di recente, la Badia è un vero gioiello architettonico.

Appunto in questo suggestivo contesto architettonico la scorsa settimana l’Accademia Picena Aprutina dei Velati ha tenuto due importanti iniziative culturali e scientifiche: una mostra di pittura ed il convegno “I beni culturali, l’ambiente e i cambiamenti climatici”. Nell’aula magna, ricavata nella navata della chiesa abbaziale, perfetto anfitrione della serata il prof. Aladino De Paulis, è stata inaugurata una bella mostra della pittrice Carla Manco. L’artista, nata ad Atri, si trasferisce giovanissima in Germania, dove completa gli studi artistici. E’ un’emigrante di successo, con l’arte. A Monaco avvia un’intensa carriera nelle redazioni di prestigiose riviste di moda, con il ruolo di direttore artistico. Layouter per l’edizione tedesca della rivista “Vogue”, designer per diverse case cinematografiche, è decoratrice delle porcellane Rosenthal. Progetta architetture artistiche per interni e lavori pittorici monumentali, come il Palazzo Bernheimer della Deutch Bank e del Porche Zentrum di Monaco. Nota ed apprezzata, ha tenuto in Germania numerose esposizioni (le più significative a Monaco, Francoforte, Norimberga, Amburgo, Colonia e Berlino). Altre mostre, di grande successo, Carla Manco ha tenuto a Londra, Saint Tropez e, in Italia, a Roma, L’Aquila, Teramo e Roccaraso, per citare le più importanti. I suoi dipinti, anche di grandi dimensioni, risentono dell’espressionismo tedesco – ma anche della pittura informale - del quale raccolgono l’immediata icasticità del cromatismo deciso. E’ stato l’on. Antonio Tancredi, presidente della Fondazione Crocetti, a presentare l’esposizione di Carla Manco, artista che la Fondazione ha ospitato nei suoi musei di Teramo e Roma. La pittura della Manco è davvero intensa, coinvolgente nei suoi timbri cromatici come nel tratto. “Vi si raccoglie l’influsso della pop art – ha annotato Tancredi - impossibile non evocare Andy Warhol, quando la Manco usa la pittura seriale o quando si cimenta nei ritratti”. Insomma, un’artista davvero interessante sulla quale la critica si è espressa con apprezzamenti lusinghieri. E questa esposizione, assai ricca di opere, ne dà conferma.

Ma veniamo al convegno. Tema attualissimo, è stato presentato nei suoi obiettivi da Aladino De Paulis, che l’ha coordinato con sapiente dosaggio dei tempi, dato il numero di relatori ed ospiti. Il presidente Eugeni ha portato il saluto dell’Accademia, ha annunciato il prossimo trasferimento nella Badia del centro telematico ed ha riferito dei messaggi giunti dal ministro per l’Attuazione del Programma, Gianfranco Rotondi, e dal Ministro per i Beni Culturali, Sandro Bondi. La parola è passata poi all’on. Tommaso Ginoble, il quale si è posto il problema delle aggressioni all’ambiente, condividendo in pieno lo spirito del Protocollo di Kyoto. Tanto più vale questa preoccupazione per l’Abruzzo, regione a forte vocazione ambientale, non immune da rischi e problemi. Ha portato il saluto del Ministro Bondi il direttore regionale dei Beni Ambientali, Anna Maria Reggiani. Sarebbe comunque intervenuta al convegno, anche senza l’incarico affidatole dal ministro, per l’alto interesse dei temi in agenda. Ha infatti segnalato le conseguenze dell’inquinamento sul patrimonio monumentale abruzzese. Fin qui il convegno scorreva con calma piatta. S’è acceso non poco, pur con il linguaggio felpato degli accademici, con l’intervento del prof. Uberto Crescenti, già rettore dell’università “D’Annunzio” di Chieti, geologo. La sua analisi sul clima si basa sui dati storici. Il vero problema del riscaldamento globale – ha detto - sta nel dilemma se sia responsabilità dell’uomo oppure no. Gli ambientalisti hanno amplificato il catastrofismo, con la compiacenza dei media. La loro non è scienza, ma fantascienza. Da qui un attacco senza riserve al protocollo di Kyoto, perché supposto su una responsabilità dell’uomo, non invece su una naturalità dei cambi climatici, come accaduto nelle epoche del pianeta. Cerca quindi di confutare i dati sull’aumento di temperatura, perché a suo dire inattendibili. L’unica scienza in grado di capire bene i fenomeni è la geologia, perché è storica. Le certezze non le ha nessuno. Bisogna rifarsi solo alla scienza, che non è né di destra né di sinistra. Dunque, non è corretto demonizzare l’anidride carbonica, ma l’approccio corretto è questo: siccome il cambiamento climatico “naturalmente” ci sarà, come ci attrezziamo, come lo governiamo? L’uomo non può fermare la natura, dunque Kyoto è la più grande beffa per l’umanità. Perfino il premio Nobel Rubbia si è allineato con i catastrofisti. Infine, ha contestato l’IPCC, asserendo che s’è costituito un gruppo di scienziati che la pensano come lui, su basi scientifiche, ma che non hanno eco sui mezzi d’informazione.

Con garbo, ma con fermezza, il prof. Sergio Rapagnà, ingegnere chimico docente alla Facoltà di Agraria dell’ateneo teramano, ha seguito un percorso con opinioni opposte, con un excursus sui consumi energetici. Oggi ciascun uomo (siamo 6 miliardi) consuma 2.750 kg di petrolio equivalente, quando all’inizio della rivoluzione industriale ne consumava 570 kg. Alla fine del secolo il consumo pro capite si stima sarà di 11.000 kg. Nella produzione di energia, solo il 35% si trasforma in energia, il 65% va disperso nell’ambiente sotto forma di calore. Dopo un’analisi delle fonti energetiche – in testa il carbone al 40%, in aumento – Rapagnà ha esposto in dettaglio le corrispondenti immissioni nell’atmosfera di CO2. La Cina quest’anno ha superato gli Usa per immissioni di anidride carbonica nell’ambiente. Nel giro di trent’anni la CO2 prodotta dall’uomo è raddoppiata (circa 30.000 milioni di tonnellate). Dunque, occorrono fonti alternative per la produzione energetica, come sole, vento e soprattutto biomasse. Bisogna soprattutto cambiare tecnologie, per la produzione d’idrogeno, perché i biocombustibili richiedono un enorme impegno territoriale per le produzioni di base. Interessante l’intervento del dr. Stefano Giovannoni, magistrato a Teramo, pubblico ministero nei reati ambientali in preoccupante ascesa. Si è soffermato sulla legislazione di settore, ma soprattutto su alcune sentenze della Consulta e della Corte di Giustizia Europea che, in nuce, definiscono l’ambiente come “bene giuridico”. Riferendo sul caso italiano, negli ultimi cinquant’anni l’Italia ha consumato territorio per edilizia per un’estensione pari a Lazio e Abruzzo messi insieme. Ha pensato il prof. Achille Renzetti, dell’Enea, a dire quanto sia costata all’Italia la rinuncia al nucleare, venti anni fa: 60 miliardi di euro. Con tutte le conseguenze per l’effetto serra, dovute all’anidride carbonica, al metano, ai clorofluorocarburi ed al protossido d’azoto immessi nell’atmosfera, responsabili del buco d’ozono, esteso per 10 milioni di kmq di superficie, quasi quanto il Canada. Per controbattere il minimalismo del prof. Crescenti, ha fatto un esempio. Se nell’ambiente del convegno c’è chi fuma una sigaretta, quel fumo non porta conseguenze apprezzabili, come se fossero cinque i fumatori. Ma se tutti ci si mettesse a fumare, sarebbe davvero problematico per la salute di tutti. Lo stesso vale per l’atmosfera, quando sono in continua ascesa le quantità di anidride carbonica immesse. Basti pensare che nel Seicento Shakespeare respirava aria con 180 ppm di anidride carbonica, ora noi ne respiriamo 380 ppm, una bella differenza. Ha concluso i lavori il prof. Aniello Russo Spena, vice presidente dell’Accademia, preside della Facoltà d’Ingegneria dell’Aquila, confermando che non sempre i modelli matematici danno risposte concordi e dettagliando le conseguenze sull’uomo e sul pianeta del riscaldamento globale. Tante buone ragioni pèrché tutti i Paesi, specie quelli più sviluppati, si facciano carico di ridurre la produzione di agenti responsabili del global warming, con forti investimenti nella ricerca e nelle nuove tecnologie. Di certo, la nuova frontiera per la scienza e per l’umanità.

 

*gopalmer@hotmail.com – componente del Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo